È semplicemente molto triste: ancora una volta dobbiamo sperimentare l’abisso della violenza cieca che compiamo l’uno verso l’altro, e le conseguenze delle ferite causate dal razzismo. Non guariranno, ma noi faremo finta lo stesso che non esistano.
Sono sicuro, comunque, che prendendo atto della cosa, e riflettendoci sopra… Non faremo comunque un cazzo. Già, siamo fatti così. È questo che mi manda ai matti. Non voglio iniziare a parlare di politica, di armi, eccetera: quello che mi fa arrabbiare è la disparità di trattamento che riserviamo nei confronti di chi vuole ucciderci dall’esterno e di chi vuole farlo dall’interno.
Se questo fosse stato un attacco terroristico di matrice islamica… Noi abbiamo invaso due nazioni e speso miliardi di dollari e migliaia di vite di americani, lanciato aggeggi mortali sopra cinque o sei paesi. Tutto questo, per la sicurezza del nostro paese, “per proteggere gli americani”: dobbiamo fare tutto quello che possiamo, “per proteggere gli americani”, persino torturare la gente.
Nove persone. Uccise in una chiesa. «Eh, che ci vuoi fare? Quando uno è matto, è matto». È questa la parte che non capisco. E sapete già dove andranno a parare, stanno già usando quelle frasi: «È stata una terribile tragedia eccetera». Le sfumature del loro linguaggio denunciano già l’assenza di uno sforzo per fare qualcosa.
Stiamo parlando di un attacco terroristico. Quello di ieri è stato un violento attacco verso la chiesa di Emanuel in South Carolina, un simbolo della comunità afroamericana. Dire “una tragedia ha colpito la chiesa…” Eh no, non si è trattato di un tornado. È stato un atto razzista. Il colpevole è un tizio che aveva la bandiera della Rhodesia [il vecchio nome dello Zimbabwe, quando era una colonia britannica] cucita sulla maglietta.
È chiaro, qui, dove sta il bene e dove sta il male. Non ci sono sfumature. Eppure, continueremo a fare finta che no, è solo «un tizio che ha perso la testa». Noi ci siamo immersi, in questo modo di pensare, e rifiutiamo di accettarlo. In South Carolina le strade frequentate dagli afroamericani hanno i nomi dei generali sudisti che combatterono per far rimanere i neri in schiavitù. La bandiera sudista sventola sopra gli uffici pubblici. Eppure, c’è un tizio bianco che crede che gli stiano portando via la sua nazione.
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Da Il monologo di Jon Stewart sulla strage di Charleston – Il Post.