Non ho mai sopportato i ragazzini, nemmeno quando ero ragazzino.
Era reciproco, ma non è importante in questo contesto.
Una delle cose che non sopportavo dei ragazzini è che non facevano niente per sé, facevano tutto per piacere agli altri, per compiacere qualcuno.
E quando, prima o poi, si dovevano staccare da coloro ai quali cercavano di piacere, ovvero i genitori, si tuffavano in strutture sociali in cui cercavano di riprodurre le stesse dinamiche, ovvero conformarsi.
Con l’adolescenza, a tutto quanto precede andavano aggiunti moltiplicatori dovuti agli ormoni; solo che la fase dello “sviluppo” alla quale, in genere, si tende ad attribuire la necessità dell’individuo di diventare qualcosa di distinto dal resto del mondo, sfiga vuole che coincida con quella in cui inizi a pensare al sesso con la stessa frequenza della respirazione.
Questo pensiero indelebile, tatuato sui neuroni dagli steroidi autoprodotti, implica il dover cercare di piacere agli altri o alle altre. Piacere agli altri o alle altre; uhm…
Finisce che devi reprimere quel poco di individualismo che pure ti necessiterebbe, e diventi un nuovo conformista per non essere prima giudicato e poi magari espulso dalla comitiva, dalla cricca, dal gruppo, dal muretto, dal soncazzo. Entri di diritto nella gente.
Queste persone mancate non crescono ma continuano ad invecchiare perché alle nostre velocità il tempo va in una sola direzione, ed alcune di queste mezze seghe diventano politici.
E sono quelle che di fronte ad un qualunque argomento, esternano.
E non dicono mai la loro, spesso perché loro, un’opinione, non ce l’hanno; ma dicono la cosa che pensano piaccia di più agli altri. Poi si girano teneramente per vedere se sono riusciti a strappare loro lo stesso sorriso che leggevano sulle facce dei grandi.
Grandi (gli stessi che ad un certo punto hanno iniziato a chiamare la prole “bimbi”) orgogliosi di loro che fanno i batteristi col cucchiaio al ristorante o continuano a ripetere cacca a tavola.