Sono nato e cresciuto nell’ufficio di mio padre, almeno per quella parte della giornata in cui non ero dalle suore tedesche. Un giorno mio padre divenne capoufficio e io transitivamente bersaglio di squittii e carezze; il tutto finì presto, perché una cogliona complimentosissima che diceva “Madonna com’eè cresciuùtoo” ogni volta che mi vedeva si è sentita rispondere “me l’hai detto anche un quarto d’ora fa e da allora sono solo andato al cesso”.
Io divenni quel mostro del figlio del capoufficio e vissi in beata tranquillità.
Nido dalle suore svizzere, asilo e elementari in scuola bilingue di suore tedesche; finii dalla Superiora per aver detto tra me e me, ma con volume udibile “e chissenefrega” quando Madre Ruth mi disse che il lavoro a uncinetto era un skifo. La superiora mi ripeteva “ma ti renti konto?! ti renti konto?!”.
Tornai a casa e lo raccontai a mio padre che si cavava il sangue per mandarmi a scuola lì. Il giorno dopo, in perfetto silenzio com’era uso quando era davvero incazzato al calor bianco, mi accompagnò a scuola, mi lasciò in classe poi si diresse con passo fiero verso l’ufficio della Superiora. Entrò senza bussare (mi dissero poi con sconcerto) e sciabolò il repertorio di bestemmie e bassezze da caserma che la lunga militanza politica e sindacale gli aveva dato, a volume da Caruso.
Ancora adesso se incontro qualcuno dei miei coevi che frequentarono la scuola allora mi dicono di quale scandalo fece papà e che la cosa fece il giro delle mamme che ci marchiarono come poveri (quello sempre) e lebbrosi.
Da allora fui molto fiero di mio padre. Però non mi accettarono dai preti.
Il che mi salvò la vita, credo, perché o finivo nella nera romana come quasi tutti lì dentro o avrei posato salutando romanamente e nella nera ci sarebbe finito papà, con trascorsi da pugile e buttafuori al Teatro dell’Opera.
Si disse che lo scandalo di cui sopra ed il rifiuto dell’iscrizione non fossero proprio scollegate.
Alle medie, scuola pubblica finalmente, imparai la quarta lingua, il romano, quella di cui vado fiero.
E ‘nnamo!
Ho fatto le elementari in una scuola pubblica e avevo un democristianissimo e secchionissimo compagno di banco che mi sfotteva perché non ero uso frequentare (voce di padre Maronno) “la santa messa”. Quando gli chiesi per chi votassero i suoi genitori, con curiosità di bambino che non sa esattamente il significato di ciò che sta per domandare, la risposta fu: “non te lo dico, il voto è segreto”. Grazie a lui divenni il più giovane simpatizzante italiano di Mario Capanna.
In prima media, sempre pubblica, il professore di religione (prete e vicepreside) mi vedeva particolarmente svogliato nella sua materia e mi chiese, con tono di scherzo o, forse, di scherno, se non desiderassi essere esonerato. Quando risposi di sì lo scherzo/scherno divenne minaccia: “ti faccio io un bello scherzetto, ti faccio vedere”, disse. Poco dopo telefonò ai miei genitori illustrando la situazione, probabilmente con l’idea di scatenare chissà quale reazione nei miei confronti. Alcuni giorni più tardi lo incontrai nei corridoi della scuola, il mio sorriso di dodicenne si allargò a dismisura nel pensare che mia madre, alle sue rimostranze, rispose: “in questo argomento è abbastanza grande per decidere da solo”.