Brianzolische Motoren Werke

Brianzolische Motoren Werke

Se andate ad Expo parcheggiate ad Arese.
Anzi, potete pure parcheggiare ad Arese e non andare ad Expo; il perché è presto detto: i parcheggi per Expo sono tutti interamente all’interno dell’ex-stabilimento Alfa Romeo.
Per qualcuno (come quasi tutto il personale addetto a quei parcheggi) questo non significa nulla. Per qualcuno come il sottoscritto, il fatto di parcheggiare sotto le campate blu-rosso-giallo del Padiglione 28, “il famoso Padiglione 28, dove si è prodotto l’ultimo motore Alfa Romeo, il V6 di Busso”1, lasciate lì in piedi forse come vezzo artistico o forse non demolite in tempo per inaugurare i parcheggi, è comunque causa di sentimenti forti.

Tutto, lì attorno, può essere causa di sentimenti forti; a partire dalla palazzina direzionale, restata in piedi, ma in evidente stato di abbandono manutentivo malgrado le luci accese dentro, per passare alla cosiddetta Spina, che le è perpendicolare e che resta dritta e stretta come collegamento dei capannoni con la mensa, senza capannoni e senza mensa2.
L’unico posto all’ombra è lo scheletro in acciaio del capannone ricambi, demolito nelle sue tamponature con evidente fretta, tanto da storcere alcune putrelle e far persino dubitare che il tutto sia ancora realmente stabile.

E parcheggiare una Giulietta fatta a Cassino tra quelle strisce, ed aspettare un pullman che ferma su una striscia d’asfalto che copre quello che era il Centro Stile, sono tutte cose che a qualcuno possono non dire nulla (“non l’ho mai vista questa fabbrica, qui fa solo troppo caldo”) e per qualcun altro valere da sole il prezzo del biglietto del parcheggio.

Tralascio il centro commerciale brutto, brutto come solo un centro commerciale brutto sa essere, che ha preso il posto del Silos e tralascio l’enorme quantità di materiale di risulta delle demolizioni lasciato tra Viale Alfa Romeo e il Museo.

Museo Storico Alfa Romeo

Sembra che chiunque voglia parlare del Museo, debbia fare come facevano gli scrittori classici: iniziare ingraziandosi le muse sperando di portare a termine l’opera; solo che oggi pare obbligatorio un ringraziamento a Torino. Certamente quanti ricordano che FCA ci ha messo molti soldi non dicono il falso, e certamente questi soldi si vedono girando per il Museo, ma altrettanto certamente dobbiamo ricordare che se non ci fosse stato il vincolo della Sovrintendenza per i Beni Culturali3,4, parte dell’esposizione oggi sarebbe all’estero, come ormai sempre più spesso accade con il nostro automobilismo storico.
Comunque il nuovo Museo c’è e dal punto di vista della ristrutturazione di soldi ne hanno spesi tanti.

Però, anche qui, consentitemi di tornare indietro di qualche anno.
Prima della sua chiusura, il Museo era un posto gratuito, tranquillo, stipato di roba (e non solo auto), in cui forse c’erano un paio di custodi; tutto era fermo agli anni ’70 del secolo scorso, e sebbene sotto i vostri piedi l’attività fosse intensa grazie a persone come Alessandro Rigoni e Co. lì dentro c’era quella pace e quella penombra con le quali una giornata passava, e non ti avessero cortesemente invitato all’uscita saresti rimasto lì come a casa. Si entrava non dal parcheggio, ma dalla piazza tra il Museo e la palazzina servizi e c’era tanta tanta roba.

Al piano –2 c’erano tapparelle e cucine a marchio Alfa Romeo, c’era il prototipo Tipo 103, firmato e voluto da Busso tra gli altri, per una piccola trazione anteriore che pareva una piccola Giulia. C’erano i prototipi, tra i quali l’Alfetta Spider con un logo quadrato molto somigliante a quello nuovo, la Proteo e l’Alfasud Caimano e dietro, in cortile, c’era la Sport Prototipo, di fianco alla cucina elettrica.
Al –1 c’era l’Alfetta GTV6, tra un’Alfasud rossa prima serie ed un’Alfetta 1.8 grigio metallizzato.
C’era la Monteral Expo, ovvero il prototipo della Montreal, con le linee moto più aggraziate di quella che sarebbe stata poi la macchina di serie.
C’era una Darraq 8/10 HP del 1908 sotto un cartello “Le origini 1906”, che oggi smentirebbe il fatto che il tutto è nato nel 1910, tanto assertivo quanto dubbio.
Sopratutto, in fondo alla tromba delle scale, c’era lei l’Alfetta 159, la regina del Museo, in due esemplari uno nudo ed uno vestito, lì dove adesso c’è un lampadario che ho già visto in una SPA in Toscana.
C’erano la 166 3.0 V6, c’era la 147 GTA, c’era la la 156 SportWagon, c’erano GTV e Spider e c’era una 1750 bianca; c’era il Romeo, la “trattrice agricola del 1919”.
C’era l’Alfa Romeo 1900, quella che trasformò definitivamente l’Alfa Romeo da fabbrica di camion, autobus e filobus motorizzati T.I.B.B., in casa automobilistica, “la berlina da famiglia che vince le corse”. E dietro c’era la stampa dei manifesti di Benca che la pubblicizzavano.
C’era la Eagle di Pininfarina e l’Alfa Romeo Taxi, la Navajo di Bertone.
C’erano la 75 di Larini-Biasion e la 156 Superturismo.
Davanti alle 155 DTM c’erano due bacheche piene di coppe e dietro, al centro, c’era la 33-3 TT12 che aveva “vinto sette gare su otto” laureandosi campione del mondo.
C’era il catalogo in omaggio.
C’era Walter de Silva che diceva che in quel posto c’era tutto quello che era necessario per ispirarsi nel disegnare le Alfa dei prossimi cento anni.

Ecco, tutto questo non c’è più.

Nello stesso spazio espositivo, molto bello, molto ristrutturato, molto sottilmente decorato (a partire dai pavimenti in porfido con le serigrafie laser) molto luminoso o molto buio e molto pieno di schermi con video a rotazione e volume a palla, c’è meno della metà di quel che c’era prima.
C’è una marea di personale (stavo per scrivere Marea) che ignora quello che lo circonda, giovanissimo, carinissimo. C’è un po’ di gente (considerate che è aperto da meno di una settimana) che gira e dice cose senza senso sui pezzi esposti, e che spesso s’appoggia alle macchine esposte per guardare i video e gli slideshow; gli avessero messo delle panchine invece di una Giulia TZ, sarebbe stata più contenta.
Ci sono zone riprese pare pare dal Museo dell’Automobile di Torino, in cui i video prendono una intera stanza senza soluzione di continuità e le macchine che ci sono in esposizione non si vedono se non per qualche secondo di silenzio e luce. Se vuoi vederle devi sorbirti le stesse cazzate a rotazione per almeno dieci volte, ma desisti presto e passi oltre.

Ci sono un’Alfasud blu ed un’Alfetta Bianca.
L’Alfasud è una 5m prima serie, molto ben conservata, ma l’Alfetta bianca se la vendesse un privato gli offriresti due/trecento euro: i vetri sono incollati con quantitativi da fiume in piena di silicone nero; le cromature a contorno a loro volta incollate sul vetro. Uno si chiede se non avrebbero potuto chiede all’AFRA due guarnizioni originali o farsene rifare due esemplari da Cicognani. E non basta: il contorno vetri sembra quasi tutto stucco e suona vuoto, la verniciatura ha grane diverse e culmina nello sportello del serbatoio carburante completamente bucciato. Ma se hanno quella grigia metallizzata, perché esporre ‘sta roba, povera lei? Ma anche un carrozziere improvvisato, avrebbe fatto meglio.
Potrebbe essere un prototipo? Una macchina con un passato storico da paura, conservata dopo il cappottamento? Bene, scrivicelo oppure levala.

E per entrare si paga, e per il catalogo ci vogliono 60,00 €.
E siccome questi giorni fa un caldo eccezionale, il bar è in fondo alla visita, protetto da tornelli a senso unico. Perché? Perché non fa parte del museo, ma del concessionario Alfa Romeo e Jeep (?!) che ha preso il posto degli uffici Connect nella palazzina servizi. Se sei sufficientemente stravolto dal caldo puoi chiedere per favore e visto che non c’è nessuno ti fanno andare al bar per bere.

Fuori c’è una pensilina rossa che prosegue fin dentro il museo e culmina con un tunnel posticcio visibile dalla Milano Laghi a forma di specchio retrovisore che era interessato da un’intensa discussione tra un torinese molto puntuto e piemontesemente incazzato, e due giovanotti (un giovanotto ed una giovinotta) che certocerto sistemiamo assolutamente.
La giovinotta, immagino urtata per essersi sentita dire che la pensilina era stata montata male ed impermeabilizzata peggio, ha preso la sua Mercedes A Klasse con cerchi da 39″ (forse AMG?) e mi si è piazzata dietro lungo il viale che dai cancelli del Museo porta alla rotonda (avrebbe potuto sorpassare); alla rotonda, dove devi dare la precedenza, mi ha suonato. Poi mi ha sorpassato all’interno della rotonda e infine ha suonato ancora affettuosamente in segno di saluto, accompagnando il tutto col dito medio ed una pestata sull’acceleratore.
Se ho ben percepito i milanesi subappaltanti vivono maluccio la calata dei torinesi.
Assolutamente.

Autosalone Alfa Romeo – Jeep

Qualcuno potrebbe andare fin lì, sbattersi i coglioni del Museo e infilarsi nell’autosalone Alfa Romeo – Jeep, in cui è in vendita l’intera produzione degli stabilimenti laziali. Forse accadrà che qualcuno sia in dubbio tra una Renegade arancione ed una Giulietta nero Etna, ma tutti quelli che erano lì erano lì per la Giulia Quadrifoglio esposta.

Ricordo quando presentarono l’Alfa 156. Ne ho parlato qui molte volte5,6,7,8.
Le tolsero il telo e coloro che erano lì trattennero il fiato. Poi partì un ooooh e poi un lungo applauso.
Fu un applauso alla macchina, a quell’Alfa tanto bella da trattenere il respiro, non fu un senso di liberazione dopo Bocelli che stona da par suo, dopo musica a palla e luci strobo. Fu un sospiro di sollievo per lei, quella che avrebbe rilanciato l’Alfa o l’avrebbe uccisa di debiti.
E non solo la salvò, ma mostrò al mondo cosa significasse cultura del design, italianità e piacere di guida su una trazione anteriore.

Quando la vidi la prima volta su strada, me ne innamorai, e quando la comprammo (ce l’abbiamo ancora) aspettai la seconda serie per prendere una prima, visto che la successiva aveva una linea che veniva mortificata in nome delle economie produttive e gli interni molto plasticosi. Molto tempo dopo uscì la GTA, che era piuttosto brutta ma molto cattiva. Siccome prima era uscita la berlina e poi la SportWagon (la più bella familiare della storia, anche più bella della 33 SportWagon 1.7 Q.V. ed ho detto tutto), la GTA fu la naturale evoluzione in senso sportivo.

150701_Alfa_Jeep_Arese_09

La Giulia, vista dal vivo è uguale alla Giulia vista in foto, una BMW M3.
Quello che manca in foto sono le dimensioni; dal vivo pure quelle sono identiche.
Non c’è un angolo, uno spigolo, una presa d’aria, un nolder, un’angolazione, un’elevazione che non dia una sensazione di deja-vu. A parte dietro che pare una Serie 3 coi fari della Quattroporte (volevo scrivere della nuova Mondeo) e non una Quattrporte come ho letto in giro, tutto il resto è un copia e incolla da BMW. Ma per non trascurare nessuno, gli interni sono presi dall’Audi.

La nuova laziale coi motori molisani non sorprende, non entusiasma e scivola via abbastanza anonima.
Il target è piuttosto chiaro: se prima compravate tedesco perché Alfa faceva monnezza, adesso potete tornare a comprare Alfa che fa la Serie 3: non avete più scuse.
E non a caso hanno iniziato dalla Quadrifoglio: perché devono andare a convincere quelli che concepiscono una berlina da città da 500 CV in una paese in cui non ci sono limiti sulle autostrade.

Se avessero presentato la 156 partendo dalla GTA, la 156 sarebbe ricordata come una macchina coatta e goffa, con grandi prestazioni, il Busso montato trasversalmente portato alla sua massima evoluzione (3.2, 24 V 250 CV, la metà scarsa di questa Giulia), ed una grossa difficoltà a mettere a terra la cavalleria. Invece cominciarono con la berlina tranquilla ed il disegno del Centro Stile è ancora lì ad incantare.
La 156 Era originale da qualunque prospettiva, era tutta sé stessa senza essere un’auto di maniera, difetto che curiosamente hanno attribuito alla Giulietta 201012 e non alla Giulia.
La 1599 da ferma era di una cattiveria che ancora oggi, se te la vedi arrivare incontro tendi ad accostare.
La Giulia ferma al piano alto del Museo Storico Alfa Romeo ti fa domandare perché oltre alle Jeep, espongano pure le BMW.

Pare che si abbia una sorta di sacro terrore a scrivere di queste cose, visti gli investimenti che sono stati messi in campo e il numero di assunzioni e riassunzioni che comportano, ma va detto che purtroppo la Giulia 2015 è banale.
Magari su strada sarà piacevolissima, e magari la Giulietta su Pianale Giorgio sarà una goduria; magari grazie ad Alfa aumenterà l’occupazione al centro-sud, magari i tedeschi torneranno a comprare italiano.
Magari Gilles, il designer dei carri funebri statunitensi, tornerà se non nel Museo almeno nei suoi garage a prendere ispirazione per quello che verrà, magari chissà Ramaciotti è andato via proprio per non dover ammettere che Alfa Romeo che non ha mai copiato nessuno, nel bene e nel male, adesso è tornata ai tempi della Darraq: lavora su disegni altrui.

E dico tutto questo indipendentemente dal successo commerciale, che magari sarà ben oltre le più rosee previsioni e che auguro a tutti.

Il nuovo logo

Il nuovo logo non piace nemmeno a loro, visto che ovunque vi giriate, dal ciondolo delle ragazze del Museo ai coprimozzi della Giulia, dal fregio al volante alla parete che dal bar porta ai bagni, ovunque salvo che sulle macchine hanno messo una versione in bianco e nero molto bella, che richiama (pure quello richiama, ma almeno in casa) quella che stava sul volante Hellebore delle Giulia (e su quello delle Alfetta) che però era tutto in toni di grigio.
Alfa Romeo Giulia
Avrebbero potuto benissimo usare la versione monocromatica, invece che questa versione dai colori tristi e con questa variazione dell’Eurostile Bold Extended con un accenno di grazie che proprio non ci sta. Al limite avrebbero potuto usare la versione con sfondo color sanguigna che era sulle Alfetta 159, la cui silhouette hanno messo ad incorniciare la grande rotonda che porta al Museo; tanto ampia da poterci sorpassare con una sola mano sul volante mentre si salutano gli alfisti con l’altra.

* * *

  1. eDue – La capitolazione di Arese
  2. eDue – The Metalworkers’s Cathedral – Andrea Timpanaro
  3. eDue – Arese, 31 gennaio 2011
  4. eDue – Arese, 10 febbraio 2011
  5. Quell’odio-amore per Walter | Via Mazzocchi 2.0
  6. Il lato B della Giulietta | Via Mazzocchi 2.0
  7. Walter De Silva – Wikipedia
  8. S.Amato Car Care: Detailing su Alfa Romeo 156 JTD 1.9 del 2002
  9. eDue – Guardo lei, pensando all’altra
  10. eDUe – L’amico del Jacquard
  11. eDUe – Honda Civic Tourer e le favole
  12. eDue – Alfa Romeo Giulietta – Alfa Romiao
  13. eDue – General Motors – Componenti di magnesio per ridurre il peso
  14. eDue – Settantacinque trent’anni fa
  15. eDue – Targata UD
  16. eDue – Dovrei odiarlo
  17. eDue – This Is Not America
  18. Motor Village Arese: un luogo premium per un acquisto esclusivo – Comunicati Stampa – Fiat Chrysler Automobiles EMEA Press da cui è tratta l’immagine della Giulia ad Arese
  19. eDue – 90 anni di Alfa Romeo attraverso i manifesti pubblicitari – Comune Notizie on-line – Magazine di approfondimento culturale a Livorno

I video:
▶ Nuovo Museo Alfa Romeo di Arese – YouTube di Giorgio Sivocci.
▶ Intervista ad Alessandro Rigoni (Museo Alfa Romeo) – YouTube di Auto-Classica.it.

Autore: eDue

Bieco illuminista

6 pensieri riguardo “Brianzolische Motoren Werke”

  1. Qualche giorno fa ho incrociato una Giulia. una di quelle vere intendo.
    Confesso di non essere mai stato attirato da quella macchina, ma non mi è difficile ammettere che aveva uno stile e una personalità assolutamente unici. Pare che quell’arte sia andata perduta.

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