Distruptive Business Model is the new In Culo Ai Soliti

Riporto qui, per voi due, un mio commento ad un post su Quinta’s.

Il tema dibattuto è più grande che il caso Uber vs Taxi, è la grande discussione sul fatto che l’innovazione di nuovi modelli di business abbiamo bisogno di una minore e diversa tutela del lavoro rispetto a quanto nato dalla seconda guerra mondiale o , se vogliamo, dal famoso Beveridge Report del 1942 Non a caso Uber ha sostenuto in tribunale la tesi che generale che la distruption dei business richiede anche disruption di una serie di tutele: “Uber’s defenders argue that the flexibility of independent contractor status is important for startups that are trying to create new types of businesses.”1

È interessante coma la litania sia sempre la stessa: perché un business sia redditizio, la redditività va fatta a scapito dei diritti dei lavoratori.
Naturalmente a nessuno fotte nulla della concorrenza, che pure viene usata come piede di porco per scassinare i diritti: certo, la concorrenza è un bene per il consumatore, ma nessuno si è premurato di definire il consumatore da almeno cinquant’anni a questa parte.
Fingiamo ancora che il consumatore sia un’entità che esiste a prescindere, uno che “ha i soldi e li spende”.
Da dove li prende ‘sti soldi?
Bene, salvo qualche nobile decaduto che ancora ha roba da vendere e qualche business man, il consumatore è, nella gran parte dei casi, un lavoratore che guadagna quel che spende (buffi a parte, ma questa è un’altra storia) lavorando.
Ma se il consumatore in quanto lavoratore deve passare il tempo della veglia lavorando, magari limando la veglia perché improduttiva, finisce che non ha più modo e tempo per spendere.
Alla fine un business è redditizio nel breve se pesa sulla società nel medio-lungo.
Privatizzare gli utili collettivizzando i costi™.
Intanto creando sacche di povertà e degrado umano (e sì, per me uno che vive per lavorare e non ha nemmeno più tempo di spendere è un essere che vive nel degrado), e poi perché alla fine qui, si sta parlando di tassazione; che è lo strumento attraverso il quale, per dirla con Elizabeth Warren (http://www.ilpost.it/2015/03/25/elizabeth-warren/) il paese ti mette in condizione infrastrutturale di fare il tuo business.

E poi del motivo per cui uno esiste.
Al proposito consiglio sempre di rileggere Una paga da fame (Nickel and Dimed) di Barbara Ehrenreich (http://www.amazon.it/fame-arriva-paese-ricco-mondo/dp/8807818019/).
Il che non significa che io sia contro la concorrenza, anzi.
Io sono a favore della concorrenza piena, quella basata sulle idee, non quella realizzata a scapito della collettività e del singolo come parte di essa.

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  1. QUINTARELLI, Stefano – Gli autistic di Uber sono dipedenti (employees) o liberi professionisti (independen contractors)? Di toppe, buchi, welfare e distruptive business models – a Quinta ‘s weblog

Autore: eDue

Bieco illuminista

Un commento su “Distruptive Business Model is the new In Culo Ai Soliti”

  1. La concorrenza perfetta e il mercato che si autoregola esistono solo nei libri di economia politica. La realtà è più simile al comportamento degli animali selvatici e, nelle forme più moderne, dei parassiti. Con la differenza che in biologia non esiste lo Stato che ti dà l’aiutone se sei un cretino o, più spesso, un rapace. È un sistema che nel medio periodo si/ci estinguerà per mancanza di prede/morte dell’ospite.

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