iDiti non cambiano dopo un keynote

Se ci siete entrambi, dovreste sapere che ho l’abitudine di convertire i miei commenti ai post altrui in post. E questo è un caso di quelli.
In questa occasione commento un post piuttosto ben fatto, parzialmente condivisibile, ma con un solo errore palese.

L’errore è il seguente: perché tutto quel bordo nero brutto e poco Apple, e brutto, e poco Apple intorno allo schermo del neonato iPad?

Potrei essere d’accordo su tutto quanto c’è scritto, ma non su una cosa che invece è molto, moltissimo Apple.

Quando una nota casa editrice decise di vendere i romanzetti rosa tradotti dall’inglese fece, prima volta in Italia, uno studio di mercato. Il target era corretto, il prezzo era corretto, il formato era corretto, i materiali erano corretti, in contenuti pruriginosi al miele corretti.
Un anno dopo era tragedia. Venduto un cazzesimo del supposto (!) o tanto invenduto per supposta se volete.

Fortunatamente per la storia del design, chiamarono uno che gli fischiano ancora oggi come una locomotiva a vapore, gli fecero vedere il buisiness plan ed un campione del prodotto.

Costui, che sono onorato di aver conosciuto, prese entrambi e cominciò ad andare in giro per l’Italia seguendo gli utenti di riferimento e tornò in sede con la soluzione, ma rinegoziando il contratto in questo modo: non un saldo a consulenza conclusa, ma un tot a copia; capite che sono certezze, saluti e baci contro probabilità e imprevisti.
Accettarono, forse ridendo un po’ sotto i baffi.

Il problema era il seguente: gli utenti elettivi lo leggevano durante il tragitto tra casa e lavoro e ritorno; in genere sui mezzi pubblici, in genere strapieni di omologhi. Quindi in piedi, reggendosi agli appositi sostegni.

Con una mano si reggevano agli appositi sostegni e con l’altra reggevano il romanzetto, mettendo le quattro dita dietro al libro ed il pollice in opposizione al centro delle legature, in mezzo al libro.

Per risparmiare, il font era piccolo e le pagine fitte; il pollice copriva parte delle ultime quattro/cinque righe ed il prodotto andava sulle palle all’utente cui era destinato che per leggerle doveva fare contorsionismi o spostare il pollice a destra e sinistra rischiando la chiusura del libro e quindi l’impossibilità di leggerlo o peggio perdere il segno. O vederselo cadere tra i piedi dei colleghi.

La cornice nera dell’iPad è esattamente quello che Apple e non un altro produttore qualunque ci mette, perché se fosse tutto display la gente finirebbe per attivare funzioni involontariamente e renderebbe l’oggetto odioso.

E invece così è usabile e comodo.

R 20101212 0951

Non gurardarmi non ti sento

Sulla rivelazione della CNN in merito ai veri motivi che avrebbero spinto Google Inc. a fare quel che ha detto di voler fare, mi pare che si faccia un bel po’ di confusione, in termini tecnici.

Ne ho detto già qui in termini “politici”, ma ora vorrei parlarne in termini meccanici.

La prima forma di confusione riguarda quelli che hanno subito gridato al miracolo umanitario quando Google Inc. ha fatto una dichiarazione in merito ad una vicenda di cui non si sa sapeva e non si sa nulla.
E non dico che quelli che ne hanno parlato in termini opposti abbiano fatto meglio.

Un approccio razionale avrebbe dovuto riportare la notizia, le fonti ed al limite un elenco di parametri certi per poter tentare di capirla; poi, magari, si sarebbe dovuto concludere che quei parametri non consentivano un’analisi della situazione. Stop.

La seconda forma affligge quelli che continuano a sostenere che il governo ha in mano tecnologie segrete che decrittano tutto.
Qui c’è un fraintendimento profondo.
Fino a qualche anno fa era vietato esportare dagli USA tecnologia informatica in base a due principi: potenza di calcolo e chiave di cifratura.
Le due cose erano connesse; vietare chiavi di dimensione superiore a 42 e poi 128 bit significava poter tentare di decrittare a forza bruta i contenuti, con la potenza di calcolo di allora. Talmente vero che Apple produsse lo spot Letal Weapon il cui testo era:

For the first time in history, a personal computer has been classified as a weapon by the US government. With the power to perform over one billion calculations per second, the Pentagon wants to ensure that the new Power Macintosh G4 does not fall into the wrong hands. As for Pentium PCs, well, they’re harmless.

e con il quale presentava il Power Mac G4 (!) giocando sullo status di supercomputer derivante dal GFLOPS di cui era capace.

Ma posto che questi limiti avrebbero tarpato le ali all’e-commerce e per questo furono rimossi e lo furono dall’amministrazione Bush Jr., pensate un po’, lo stato dell’arte oggi garantisce una che una connessione sicura sia considerata tale in modo da evitare che un aggressore possa decifrarla in tempi utili.
Ma si parla di connessione, ovvero di mezzo, di protocollo di trasmissione dei dati.

I dati sia al di qua che al di là del tubo NON sono cifrati, non necessariamente.

Quindi premesso che nel protocollo https viene usato un meccanismo di cifratura a chiave pubblica, il cui algoritmo è pubblico e pubblicato, e premesso che non sono noti ad oggi né metodi crittanalitici né bug protocollari e né metodi di key escrow o key recovery che consentano attacchi se non a forza bruta, il governo americano nulla può contro la matematica.

Anche qui è bene capirsi. In una connessione https, ovvero SSL, la chiave asimmetrica viene utilizzata ma solo in fase di negoziazione, in modo di scegliere, nella suite di protocolli a chiave simmetrica disponibili ai due estremi, quella che genererà la chiave di sessione e quindi il traffico cifrato. Mettiamo che la parte a chiave simmetrica sia l’AES 256; dopo la pubblicazione dell’algoritmo e di un concorso pubblico per romperlo con metodi crittanalitici, si è verificato che sulle 14 fasi di cui è composto solo le prime quattro sono rompibili; ma non le restanti 10. Infine, spannometricamente, se supponiamo che l’attacco a forza bruta avvenga secondo il metodo dell’algoritmo del compleanno che riduce lo spazio delle chiavi alla radice quadrata dell’ampiezza della chiave (256 bit, appunto), abbiamo che basta esplorare 2 alla 128 chiavi per rompere un AES 256.
Diciamo “basta” per divertimento, naturalmente.

Terza forma confusa.
Ma cosa gliene potrebbe fottere al governo americano di forzare il tubo se ha accesso direttamente ai contenuti in chiaro, non è dato sapere e né quelli che sostengono la tesi del key escrow, o del key recovery ci illuminano in merito.

Qui non si tratta di backdoor, ma di un servizio, ovvero una funzionalità che consenta a terzi l’accesso ai dati. E siccome Google Inc. i dati li ha in chiaro, resta solo da capire se li mette a d disposizione di terzi e come lo fa.

Sul fatto che Google Inc. abbia i dati in chiaro non dovrebbero avere dubbi nemmeno i criceti, visto che il principio si cui si fonda GMail è che presenta pubblicità in base all’analisi del contenuto dei messaggi, e che questo sta scritto nelle condizioni d’uso.

(EC was here).

iLavagnetta per iDiti

Ballmer ha fatto una furbata che levati, un po’ come fece la Renault con la Fiat.
Ricordate? La Panda si sarebbe dovuta chiamare Gingo. Brutto brutto brutto.
Qualche settimana prima della commercializzazione per fortuna (o per piacere) la Renault minacciò causa perché il nome Gingo sarebbe stato troppo simile a Twingo.
La Fiat disse che gli dispiaceva assai, che scusassero e Panda fu.
Con buona pace di Piero Fassino che di Gingo ne voleva comprare una.

Poi avrebbe dovuto essere MiLaNo; ma visto che a Milano di Alfa non c’è più nemmeno la strada, ‘ché ad Arese pensano intanto di chiamarlo Viale Filiberto Alfaromeo, poi Viale Filiberto fra un po’ ed infine Avenue Filibert Carrefour, allora Giulietta.

Apple come tutti sanno e qualcuno scopre ogni tanto, sa fare comunicazione.
Fare comunicazione significa non solo farla, ma anche farla fare.
Sono giorni che tutti parlano del fatto che Apple abbia registrato il dominio iSlate, che è davvero un nome brutto per un prodotto.
Intanto perché suona male (slèit) poi perché suona simile a Slave; ed in USA puoi anche fare fuori migliaia di bambini con le guerre chirurgiche, ma non essere politicamente scorretto.

È talmente tanto vero che in alcuni libri di testo all’espressione client-server per il mercato interno viene sostituita l’espressione client-supplier o client-provider, ma poi esistono delle ditte di pulizie che costano di più perché hanno solo dipendenti non sindacalizzati che puliscono magari male, ma inginocchiate a terra, pratica vietata ai sindacalizzati; donde venne il Mocho.

Insomma Apple ha messo in giro la voce (perché quello che non vuole mettere in giro, non va in giro) che avrebbe posseduto il dominio iSlate.

E tutti a dire che il tablet si chiamerà iSlate. Che è un nome brutto e che comunque suona come iLavagnetta che non evoca davvero un cazzo.

Redmond (si noti l’assonanza con La Régie Auto) ha presentato ieri un coso che si chiama Slate, è un tablet, e fra venti giorni sarà allegramente dimenticato.

* * *

Ed ora lo scoop: quella dei tablet Apple non sarà un prodotto ma un linea di prodotti, come iPod; siamo in grado di anticiparne alcuni:

iChalk – con schermo a quadretti di quinta
iChoke – per le situazioni imbarazzanti
iCrack – con struttura in vetro
iCocaine – con schermo specchiato
iCandy – tutta una presa per iLculo
iCount – multitouch a dieci dita
iCoke – programmabile con le API Carbon
iCookie – versione impermeabile al caffellatte
© Erix
iSlut – per streaming a LED rossi.
iSlot – per i giocatori d’azzardo.
iSlam – per i giocatori di bridge online.
iSlurp – per ricette sempre aggiornate.
iSleep – perché i tablet dopo un po’ vengono a noia.
iSlip – versione R-rated di iSlut, priva di antiscivolo.
iSplat – garanzia nulla in caso di caduta.
iSlay – per i giocatori di FPS.
iChicken – per chi ha paura di comprarlo.

iCeland – versione nord europea
iCecream – per quella cifra solo tre gusti.
iPee – da usare come vassoio per le bevande.

Mud + Snow

Apple ha iniziato la spedizione dei DVD di Mac OS X 10.6 Snow Leopard.

A breve quindi ci apprestiamo a cambiare la gommatura delle nostre macchine sostituendo i pneumatici vecchi ormai di due anni con un treno di gomme nuove. A David POGUE la cosa piace.

A leggere in giro, dovrei essere ansioso.
In effetti lo sono, per due motivi:

1) In genere non istallo un SO fino al primo aggiornamento, ma per Leopard feci un’eccezione ed attesi il 10.5.2. Quanto ci vorrà prima che esca il 10.6.1?

2) Adobe ha subito detto che la CS3 non va con Snow Leopard, e potrebbe anche essere vero. Potrebbe anche non esserlo ed essere questo un modo di vendere la CS4 sull’onda emozionale. Purtroppo ho la CS4 solo su una macchina, e la CS2/3 sulle altre.

Apple, come già detto tante altre volte, fa pagare poco l’upgrade [1] per semplificarsi la gestione del parco macchine, ma a me con queste cose lo complica assai. Sarà il tempo che passa, ma non vedo più gli aggiornamenti di sistema come un evento ma come rogne.

Se tra voi ci fossero aggiornatori impazienti non mancate di farci sapere come va con l’uso quotidiano delle vostre applicazioni.
Magari prima fate un giro su http://snowleopard.wikidot.com/.

* * *

Anzi, facciamo tre:
ho la Stylus Photo R200 il cui supporto passa dal driver nativo a Guntenprint, esattamente come accadde con il 10.5 e la Stylus Photo 750, rendendola di fatto inservibile se non come (costosa) stampante di bozze…

[1] TidBITS; Opinion, 21 Apr 2009: Why Snow Leopard Should Be (Almost) Free ENGST; Adam, C.