L’amico del Jacquard

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Ho letto questo libro1, di ben 555 pagine, qualche giorno fa.
Farne una recensione è difficile, e non lo farò. Farò alcune considerazioni a lato del libro.

La storia dell’Alfa Romeo è stata accompagnata da due costanti: propaganda e fallimenti.
La prima, parte ai tempi del fascismo e dell’epica futurista, la seconda le è coeva; Alfa divenne statale. Erano dello stesso segno ed originavano nelle stesse stanze; l’Alfa non faceva utili, ma era utile a costruire un’immagine.
Poi, la propaganda dopo la II GM divenne comunista e il fallimento fu evitato (temporaneamente) grazie al Piano Marshall con i soldi del quale furono approntate le catene (novità, ottimo bersaglio sindacale) della Alfa 1900 (la prima a scocca portante – altra novità); solo che quella comunista fu contraria alla fabbrica, vista come un mezzo di sfruttamento e non per dare lavoro. Come che sia, la fine è ben nota.

Qui nessuno nega che la rivoluzione industriale abbia portato con se anche lo sfruttamento in fabbrica, è solo che, come ben sappiamo oggi, anche senza industrie in senso stretto ed i relativi impianti, è possibile la schiavitù a fini lavorativi. Sappiamo bene come nei paesi del Terzo Mondo ci siano persone che lavorano in condizioni di abbrutimento perché sono più convenienti dei costosissimi macchinari che servirebbero per sostituirle. E sappiamo bene cosa significhi, nei nostri campi, il caporalato oggi.

Quello che sto dicendo è che la propaganda comunista dell’epoca non aveva come fine l’operaio ma il combattere il padrone2.
Questo libro ne è ulteriore prova: le rivendicazioni sindacali che hanno accompagnato l’Alfa per 30 anni (quelli coperti dal libro) l’hanno portata all’ennesimo fallimento (quello definitivo) e, sopratutto, hanno avuto come esito la chiusura degli stabilimenti del nord (Portello, Arese ed i satelliti). Prima di leggerlo (e anche considerando che è di parte, ma non di parte padronale), evitate di dare risposte preconfezionate. Leggetelo, poi vi sarete fatti un’idea.
Come che sia, se appunto l’idea era quella di distruggere l’industria, quella del sindacato è stata una vittoria piena.
Ed in questo ha avuto un aiuto fondamentale dalla politica.
Ma se per caso qualcuno pensasse che lo scopo del sindacato debba essere difendere gli interessi dei lavoratori, allora una fabbrica che chiude non è mai nel loro interesse.

Certo, nessuno nasconde (non l’autore) che ancora nel 1987 quando Alfa passa alla gestione FIAT ci sono “problemi di esalazioni nel reparto verniciature di Arese“; solo che in uno dei satelliti, un impianto nuovo di zecca e con criteri costruttivi innovativi in quanto se non sopratutto in merito alle condizioni di lavoro, lo sforzo del sindacato l’ha portato alla chiusura. Perché il personale doveva essere riassorbito ad Arese. Certo, era una questione di principio; i tumori al polmone tutto sommato riguardano la medicina, non la lotta proletaria.

Bene, leggendo il libro si capisce che le garanzie che oggi avremmo a livello lavorativo nascono e muoiono (donde il condizionale presente) lì.
Partono da lì, dallo Statuto dei lavoratori e vanno via via morendo.

Ovvio, non tutte le colpe stanno da una parte, non è mai così; infatti ho detto e ripeto che la politica ha messo sull’altro piatto della bilancia non un argine a queste derive, come sarebbe stato bene nell’interesse collettivo, ma da un lato lo spalleggiamento (poi rinnegato – mavà – al terrorismo) e dall’altro clientelismo come coltura elettorale.
Infornare per un trentennio, e fallire ben caldo.

Ecco perché oggi è così facile far passare l’idea che quelle garanzie siano il vero limite allo sviluppo, perché ci si dimentica sempre che, chi pure le ha promulgate, ne abbia poi abusato per primo.

* * *

Dicevo che non ho intenzione di recensire nulla.
Devo solo mettervi in guardia sul fatto che in maniera sentita ma completamente inutile di tanto in tanto l’autore ci ficca dentro il cattolicesimo.

* * *

Quelle che invece intendo fare sono alcune riflessioni che partono da dove il libro finisce.

Il libro finisce nel settembre del 1987, dopo 9 mesi di gestione FIAT, e dopo un anno (1986) di retroscena che portano la politica romana (anche qui, romana e si parla dei craxiani e dei demitiani, ce ne fosse uno romano…) e quindi IRI con Prodi a preferire FIAT a Ford.

L’idea che ci si fa, e probabilmente è corretta, è che i mesi di lavoro con Ford siano solo serviti a dare un capitolato a Fiat.
Leggendo quel poco che si sa dell’offerta Anglo-tedesca, parrebbe che l’idea di Ford fosse berlinone sportive, coupé e spider al Nord (Arese) e Fiesta al Sud (Pratola Serra).
Per gli alfisti questa è musica per le orecchie.
D’altro canto Romiti (l’unico romano, a parte quello padano con la maiuscola) andava dicendo, mai smentito da Ghidella che lo accompagnava, che l’interesse per Alfa era solo per il marchio, e tutto il resto era da buttare.
Come poi è stato.

Però, c’è un fatto che molti dimenticano.
Ford non aveva alcun interesse specifico in Alfa; i novanta furono quelli in cui tutti compravano tutto, così, tanto per fare massa critica.

  • BMW che compra Mini e Rover, poi Rolls. Rover: fallita.
  • Ford che compra Jaguar, Land Rover (e quindi Range): poi fa le Mondeo con scritto Jaguar, la manda (giustamente) fallita e infine rivende tutto agli indiani. Forse oggi Alfa sarebbe indiana. Intanto compra Volvo e controlla Mazda, ed anche qui la storia aiuta a capire: Mazda se l’è cavata per un pelo (usa ancora il 1.6 Ford, ma a breve nemmeno più quello) e Volvo ai cinesi.
  • Fiat che fa monnezza, Lancia presenta la K e sprofonda a livelli da speleologia nelle vendite; Alfa fa 156 147; in Lancia le ricoprono con una reinterpretazione della Trabant chiamate Lybra e Delta. Della K c’è anche una versione furgonata coupé Pininfarina, che la manda in bancarotta. Poi l’eutanasia della Thesis.
  • GM che compra Fiat, attraverso il famoso put, ma non ha i soldi per esercitarlo. Rischia il collasso per pagare la relativa penale (1,5 miliardi USD) e poi chiude Saab. Chiuderebbe pure Opel se non ci si mettesse lo stato tedesco attraverso i Länder. È di questi giorni la ritirata di Chevrolet dall’Europa.
  • Daewoo (tanto per guardare un po’ più lontano) che “fabbrica dallo stuzzicadenti alla portaerei senza soluzione di continuità”, fallisce3.
  • PSA si regge per ancora vent’anni sullo stato francese, e poi in questi mesi finisce per il 33% ai cinesi. Per ora.
  • Renault si salva grazie a Nissan. Curioso, quest’ultimo fatto, perché Alfa con Nissan aveva iniziato prima, con l’ARNA – Alfa Romeo Nissan Automobili e con la macchina omonima. Da molti considerata, forse non a torto, la peggiore macchina che si sia fregiata del logo Alfa4
  • Mercedes, ha comprato Crhysler, dando vita A Daimler – Crhysler; se non l’avesse abbandonata sarebbero fallite entrambe, vittime di un salasso continuo da parte della seconda nei confronti della prima. Invece MB uscì e Chrysler finì in bancarotta controllata; Mercedes, beh, la storia è nota. Curiosamente Chrysler è destinata a fare da secondo nome nelle fusioni, come è accaduto quest’anno in FCA – Fiat Chrysler Automobiles, ma in questo caso, alla fine è lei che ha “annesso una provincia debole™” top management a parte, che è simpatico ad Obama, e vedremo che fine fa alla scadenza del mandato di costui.

Insomma, è chiaro il perché molti abbiano preferito Fiat (compresi i sindacati che pensavano di poter continuare la rivoluzione proletaria, anche se Fiat fu probabilmente preferita proprio per aver assicurato la fine di un certo sindacalismo), ma non mi è chiaro perché avrebbero dovuto preferirle Ford, che avrà pur fatto piani di acquisizione più consoni ai blasoni dei marchi che acquistava, ma li ha sempre rigorosamente disattesi e mandati falliti. Una 164 su meccanica Mondeo non sarebbe andata meglio di quella che abbiamo conosciuto.

Quello che ci dice la storia è che, paradossalmente, le case automobilistiche del nord hanno chiuso tutto o quasi al nord ed hanno ristrutturato gli impianti del centro-sud.
Questi, che all’epoca della loro costruzione (e guarda caso erano quasi tutti Alfa, perché FIAT attraverso il lungimirante Avvocato aveva sempre sostenuto la completa inutilità dell’industria al sud, un po’ come Gates che parla dei 640 kb…) erano considerati ingestibili, sono diventati il modello industriale del WCM tanto caro a Marchionne.

Chissà com’è.

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  1. Immagine da Alfa Romeo: la tela di Penelope | Fucina Editore.
  2. Volkswagen Italia festeggia i 60 anni. Ma pochi sanno che… | Il blog.
  3. Intendiamoci, non tutti vanno male: Toyota va alla grande (e forse per quello viene osteggiata in Cina); VAG e Mercedes vanno bene; BMW va bene, ma non a caso, per dirne una “BMW si dice non interessata ad Alfa.” nel 1986. E, non a caso, Marchionne insiste che Alfa non è in vendita, se dall’altra parte c’è VAG
  4. eDue – Dovrei odiarlo

Autore: eDue

Bieco illuminista

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