Il 4 luglio scorso ho provato presso il MotorVillage di Arese (MI) una Giulia 2.2 TD 150 CV Super, Bianco Alfa.
Premesso che il MotorVillage di Arese è al piano terreno di uno dei quattro fabbricati del nuovo Museo, e che per quanto mi riguarda, benché molto sfornito quanto ad esemplari è comunque il più bello di tutti, e premesso che per motivi del tutto incomprensibili in realtà la vendita avviene all’interno dell’area di vendita Jeep, circondati da vetrofanie di fogliame e grandi tronchi veri, ci si trova un personale cortese, preparato e flessibile; ovvero quanto basta per poter convincere qualcuno a compare qualcosa. E non è poco.
Può sembrare scontato, ma non lo è affatto1.
Inoltre, siccome la prova della vettura non era in programma, mentre lo era la visita al Museo che con tutti i suoi difetti2, in parte mitigati, resta un piacere cui non voglio sottrarmi quando passo per Milano e dintorni, il tutto è stato un piacere ancora maggiore.
Alla fine la macchina è stata preventivata per un netto di circa 33.500,00 €, quindi dobbiamo avere presente questo dato quando ne parliamo, anche alla luce del fatto che siamo arrivati ad Arese con una Nuova Giulietta il cui listino supera di slancio i 29.000,00 €.
Com’è
Sapete come la penso.
Anzi, sapete come la pensavo, ovvero che si tratta di una Serie 3 con un buco davanti invece dei due reni BMW, ed una A4 dietro con una fiancata da Serie 3 pure lei.
Però, pur avendola vista dal vivo ma in condizioni statiche in occasione della presentazione proprio lì ad Arese, le automobili vanno viste nel loro habitat, che non è né una stanza piena di luci strobo, né circondata da puppazzette scollate, ma la strada.
Bene, Giulia, su strada, bianca, civile, senza scollature e protuberanze che si trovano sulla Quadrifoglio, appiattendole la prospettiva come non è possibile fare in concessionaria, cosa che invece viene benissimo nel piazzale antistante l’Alfa Romeo Cafè, è molto più Alfa di quanto non sembri altrove.
Adesso ve lo dico, smettete di guardarla in foto, temo privilegino (o creino ad arte) quelle in cui effettivamente sembra una Serie 3, per cercare di rubar loro clienti.
Invece no, ci sono molte altre prospettive dal vivo, all’aperto, dalle quali è molto più Alfa e molto più di tante sue sorelle maggiori, a partire dalla 159, che aveva pesi da carro ferroviario.
Guardatela su strada, ovvero lì dove dovrà confrontarsi con le altre.
Quindi la finiamo qui: Giulia mi piace.
Non mi manda matto, non è originale da tutti i lati, non ha un elemento distintivo secco e chiaro, ma alla fine è un oggetto il cui disegno funziona ed ha nel complesso una personalità; anche se sembra sempre cugina di.
C’è una notizia che ad alcuni farà piacere: non si sale in macchina, si scende in macchina.
Non è una 4C, intendiamoci, ma nemmeno una Giulietta o una Renegade.
Però, visto che appunto non è una 4C, vengono da farsi un sacco di domande.
Primo: perché quei sedili posteriori da sala attesa, quelle panche affossate, tanto più che la botola dello sportello corrispondente non è né particolarmente grande né particolarmente approcciabile quanto a forma? Perché quella conformazione da coupé sui posti che un eventuale NCC dovrebbe dedicare ai clienti? Perché impedire a mamma e papà anziani di accompagnarci a spasso con Giulia, visto che quello che siederà dietro, ammesso che ne esca, col cazzo che ci entrerà una seconda volta?
Secondo: il pavimento tra le due file di sedili ha una leggera protuberanza dovuta all’albero di trasmissione (in carbonio, in pezzo unico senza giunti; grazie, anche da parte delle mie Alfetta che sono state maledette per quelli, e che nascevano lì a pochi metri dove adesso c’è un centro commerciale brutto).
Leggera protuberanza.
Ma allora, perché quel mobile centrale tra i due sedili anteriori è così follemente, scomodamente alto? Risponde il tizio: perché sotto c’è il cambio.
Tizio, lei le ha viste le foto della meccanica di Giulia? No? Fa niente, sa?!
Basta che faccia quel che ho fatto io: aprire il poggia braccio. E cosa scopre se fa come me? Che è profondo.
E se apre il coperchio scorrevole davanti al cambio e scopre il relativo vano, cosa nota? Che sarà profondo almeno cinque/sei centimetri.
Nelle autovetture moderne si limano i millimetri, e qui ci sono centimetri di troppo.
Quindi guida sportiva, con un mobile talmente alto da dover salire verso il cambio, lo sai come va a finire? Va a finire che o stai sempre con la destra sul cambio (e con una sola mano non fai guida sportiva, fai guida isterica) oppure fai a pugni con l’abbigliamento della vettura.
Ma cazzo che peccato; che sbaglio grossolano.
È talmente vero che è un errore e non un imposizione tecnica che dovendo guidare in quel modo e dovendo passare la destra dal volante alla leva del cambio e viceversa, si finisce pure per comandare involontariamente la rotella dell’infotainmet col polso. Immaginate che bello vedersi cambiare il display a centro plancia senza motivo, e scoprire che accade alle cambiate.
Pessimo. Ma nessuno se n’è accorto?
Terzo: il cambio. Avevo avuto la sensazione, guardando il video in cui una Quadrifoglio faceva due giri sul circuito di Arese, che fosse molto lento e telefonato, tutt’altro che esente da impuntamenti e con cambiate in tre tempi (marcia-folle-marcia) causa di grossi cali del motore. Forse è vero sulla Quadrifoglio, che meriterebbe un cambio manuale migliore, o forse proprio al tunnel centrale ipertrofico che impiccia la guida. Nella realtà sulle versioni addomesticate, il sei marce è piuttosto buono, non certo fulmineo ma secco, corto e dagli innesti poco contrastati, tollerando anche dei sesta-terza o dei quarta-seconda nelle rotonde, senza alcuna sofferenza di sincronizzazione.
Ma allora, perché il pettine del selettore ha, dalla prima alla quarta, selettori equispaziati e quinta e sesta molto più in là? Ma molto eh?!
Potrei capire la sesta, ma la quinta su un motore del genere volete che si usi solo in autostrada?
Quarto (o terzo bis): Perché la retro in quel modo del cazzo?
Non con l’innesco sulla prima come i sei marce, non al posto della prima come negli ZF, non al posto della sesta come nei cinque marce, ovvero in nessuno dei modi con i quali si può favorirne l’innesto.
No, a cazzo a fianco della prima, alla sua sinistra, senza nessun innesco, ma con un movimento alquanto anti-intuitivo.
Ma perché?
Sedili duri ma confortevoli davanti, bella la selleria in pelle, buoni gli assemblaggi del cruscotto e degli interni, provati nella versione a materiali pregiati un po’ ovunque della Super, bruttino il volante e, trattandosi della versione di prova anche il Keyless Entry, per la felicità dei ladri. E siccome la chiave è grossa e grassa, non la si può tenere nei jeans, e quindi dove la si mette? Davanti al cambio no, perché col portachiavi del MotorVillage non c’entra. E sotto il poggia braccio no, perché è fondo e scomodo recuperarla nei frequenti sali e scendi dalla macchina. Ma ‘ste cazzate sì, ed il cruise control adattivo no, eh?!
Nota di colore, l’acceleratore infulcrato3 in basso, seghettava e soffriva di frequenti inspiegabili blocchi, come se avesse un tappetino sotto; solo che sotto, appunto, c’è la sua cerniera e nient’altro. Non oso pensare che negli esemplari in vendita (questa era una unità demo, ricordo) possa essere così.
Come va
Il posto guida lo mettiamo in Com’è o in Come va?
Beh, in Com’è lo abbiamo già messo; ma il posto guida serve a guidare.
Dimentichiamo il tunnel centrale ipertrofico, ovvero tutto l’impegno per farti finire sul cazzo questa vettura, e muoviamola.
Bene, il posto guida è perfetto.
I sedili hanno il giusto contenimento, la giusta durezza, la giusta conformazione per sentirsi alla guida e non trasportati dalla macchina.
L’imbottitura morbida dalla parte bassa del tunnel consente di avere la gamba allineata con l’acceleratore senza che a riposo si debba contrarre il quadricipite per tenerla pronta, una posizione comune a molte trazioni anteriori a motore e cambio trasversali, che sembra di primo acchito dare tanto spazio ma in realtà provoca dolori alla lunga.
A sinistra lo sportello non ha né spigoli né sporgenze, e sebbene trattenga la gamba solo se avete il piede poggiato sulla pedana di riposo (a sinistra della frizione), risulta correttamente conformato, non limitando mai i movimenti in manovra.
Da sinistra a destra:
la frizione è corposa ma non pesante, con un movimento libero molto limitato ed un’escursione lineare subito comprensibile; si ha la sensazione di muovere proporzionalmente a quello che ci si aspetta. Giusto per fare un esempio4 sulle Giulietta 2.0 JTDm-2, la frizione ha una corsa infinita in cui il tratto efficace è però limitatissimo e tutto in alto, il che porta a scalpellare la trasmissione senza alcuna efficacia sulla guida. Fosse solo leggermente più dura preferirei, ma passerebbe solo da ottima a eccellente.
Il freno è ben modulabile, non ha gioco e inizia a mordere i dischi fin dai primi gradi di movimento; ha un’escursione breve ma non corta (sono sensazioni, non riesco a spiegarla in radianti, eh) ed un’efficacia eccezionale. L’intervento dell’ABS non si percepisce, e non si capisce perché fino ad oggi lo si sia dovuto comunicare a chi guida, in quella maniera tanto primitiva, poi. Un po’ piccolo il pedale e, come quello della frizione, fatto a forma di cuore, con base in alluminio e strisce in gomma. Una cosa inutile, costosa e temo persino pericolosa quando piove e si entra in macchina con le suole bagnate. Se il resto del mondo li fa a botte ed in gomma un motivo ci sarà, no?
L’acceleratore, come dicevo è stata una sorpresa negativa. Il fatto di averlo incardinato in basso è una scelta di marketing che non ha nessuna conseguenza pratica.
Spero ed immagino che gli esemplari consegnati dal 29 giugno 2016 in poi almeno non seghettassero come quello dell’esemplare in prova.
Quando l’acceleratore non si blocca e fa il suo lavoro, Giulia parte rombando cupa in sottofondo senza tentennamenti, e ti ricorda con leggerissime scodate appena percettibili (dovute alla differenza di grip, ad esempio) che chi spinge sono le ruote posteriori. Se faranno una Q4 sarà su binario, ma lo sterzo potrebbe risentirne; ne parliamo dopo.
Beccheggio assente, rollio assente ma la macchina non è troppo rigida; sembra piuttosto molto compatta, molto densa, molto sicura di sé.
Impossibile disattivare l’elettronica ed impossibile farla sovrasterzare di potenza; parimenti impossibile portarla fuori traiettoria di sottosterzo, segno che il peso sta prima o a cavallo dell’asse anteriore.
Il cambio (ve l’ho detto, maledetti, quant’è scomodo arrivarci?) costringe a lasciarci una mano sopra per non colpire il tunnel centrale, ma è cortissimo sia in dimensioni sia in escursione; della posizione di quinta e sesta ho già detto. Le cambiate non sono fulminee, ma non c’è verso di farsi rifiutare una marcia, anche cambiando in zona rossa del contagiri.
Viene da pensare che il tutto sia un compromesso tra velocità e il dare la sensazione che faccia sempre e comunque quel che si vorrebbe.
Su alcuni esemplari l’elettronica consente di cambiare senza rilascio (lo fa l’elettronica sentendo i movimenti dei leveraggi); sinceramente non sono riuscito a forzarmi nel cercare di capire se anche l’esemplare in prova ne fosse equipaggiato.
Il muso lungo non dà alcun fastidio, e non impedisce la visione se non nei parcheggi contro un marciapiede, nei confronti del quale i sensori di parcheggio anteriori nulla possono.
I montanti anteriori non sono particolarmente invasivi, ma si ha la sensazione di essere lontani dal vetro anteriore, il che è un po’ un controsenso visto il disegno rastremato dell’abitacolo.
La visibilità posteriore è limitata a oggetti lontani; detto in altri termini è pressoché nulla. Indispensabili i sensori d’ingombro, molto efficaci.
La Giulia in prova aveva anche il Lane Deperture Control; se non ve lo dicono, vi domanderete chi si esercita al contrabbasso nel bagagliaio.
Dimenticato nulla?
No, ho solo deciso di mettere qui il motivo per comprare Giulia.
Lo sterzo.
Torniamo indietro, agli anni in cui ci si preparava a prendere la patente.
Ho iniziato a studiare i quiz a 16 anni; non solo li sapevo a memoria tutti, ma sapevo benissimo smontare e rimontare gran parte delle componenti meccaniche e di carrozzeria della nostra Alfetta 1.8 bianco Capodimonte (un panna chiaro, un bianco leggermente virato giallo) del 1973.
Roma L92***.
Appena preso il foglio rosa (21 giorni dopo il compleanno, tempi tecnici), eravamo io e mio padre su Via della Marcigliana e accadde l’esatto contrario di quello che accadeva normalmente: non guidava lui fin sotto casa e poi mi lasciava la guida per parcheggiarla (area privata), ma la parcheggiò sul ciglio della strada, scese e mi lasciò la guida.
Da quel giorno e per mesi io guidavo l’Alfetta e lui mi cazziava.
Però guidavo l’Alfetta. E se un parente di quelli che fanno la punta al cazzo non l’avesse convinto che il rapporto peso/potenza non fosse adatto all’esame di guida (da privatista, ça va sans dire), alle 8:00 del 10 ottobre, in Piazza Jan Palach5 ci sarei andato con lei.
Invece la sera prima dovetti chiedere la Regata 100 Super a mio zio e disimparare a guidare in meno di 12 ore per fare l’esame con quella, con un rapporto peso potenza da Ape Piaggio.
L’Alfetta non aveva il servosterzo, e nessuno ne aveva mai sentito la mancanza; sulla Regata non solo c’era, ma non era né disattivabile (tutto il peso davanti, e davanti all’asse anteriore) né tachimetrico.
La sera uscii con l’Alfetta, e papà a fianco non c’era.
Eravamo io e lei, col suo Hellebore in legno, con l’inserto in legno sul cruscotto e la scritta corsiva cromata, i suoi interni tabacco, i suoi pesi cinquanta e cinquanta, col suo bialbero longitudinale quasi tutto dietro le ruote davanti e il suo De Dion montato al contrario (ancorato al famigerato staffone) rispetto alla sua omonima da Gran Premio con una ventina d’anni in più sulle spalle che oggi si vede al Museo.
Che cosa m’era mancato in quelle 12 ore di tristezza a bordo di quella scatola con le ruote? Lo sterzo.
Sentire le ruote, capire quello che facevano, capire se facevano quello che volevo e se no, cosa mi stavano dicendo sotto le mani.
Non sentire le ruote vibrare appresso al differenziale, non sentirci le cambiate, non i trascinamenti al fondocorsa nelle manovre, ma sentire la strada. Guidare.
Facemmo un patto: io e lei non ci saremmo separati mai più.
In realtà ci saremmo lasciati dopo più di dieci anni, ma mentre in casa si susseguivano le transaxle io e lei stavamo ancora assieme.
Quando lei non ne poté più di me che imparavo a guidare di traverso6 arrivò il GTV 2.0, che nel frattempo aveva perso il prefisso Alfetta perché anche in Alfa l’avevano sostituita con la 75 e la 90.
Bene, prendete uno sterzo, levategli tutto quello che non gli compete, a partire dal muovere le ruote di trazione per mandarle dove la fisica non vorrebbe che andassero, toglietegli tutte le reazioni della meccanica della macchina, mettetelo a lavorare su due ruote libere da ferraglia ma ancorate a un quadrilatero alto, e tarategli un servo che non si faccia sentire, che sta lì più per il fatto che un giorno ci sarà un’integrale da domare che non per stretta necessità.
Provate dopo anni di trazioni anteriori, anche molto ben fatte come 1567 e 147, una macchina con uno sterzo così.
Ci siamo capiti.
Due parole sul Museo
Che il Museo fosse acerbo era cosa evidente.
Per fortuna (non voglio dire che mi leggano, anche se forse…) alcune storture sono sparite.
Ad esempio è sparita quell’Alfetta bianca di cui vi dicevo, non degna di essere esposta, ed è tornata, finalmente, la sorella grigio metallizzata, bellissima ed in condizioni da concorso.
E, se qualche decennio di esperienza non m’inganna, ho la netta sensazione che le vetture stiano affrontando un buon detailing7 o un ottimo restauro prima di essere esposte; quindi probabilmente avranno riempito gli spazi del museo con quel che c’era, e adesso lo stanno mettendo a punto con quel che doveva esserci.
Le parti mancanti o sono in giro (ricordo che le vetture sono tutte marcianti e marciano per il mondo) oppure saranno di sotto tra le mani di quelli col camice azzurro, che un dio ce li conservi.
E poi, mammamia, adesso ci sono esposte tre Alfetta!
Tre. Una 158 e due 159 (quella abbigliata e quella nuda con il solo musetto); ma che meraviglia, tre monumenti dell’automobilismo mondiale, tutte e tre tirate a lucido, con gli interni puliti (ed i velluti nuovi sulla 158, e immagino in che condizioni fossero gli originali anche se qui non siamo del tutto in disaccordo con la filosofia Lopresto).
Già solo vedersi davanti tre Alfetta da Gran Premio del 1950-51 vale da solo il prezzo del biglietto.
Bene così.
* * *
lasciato acconto?
Per qualche anno devo pagare la scatola rossa, ma dopo perché no.
Ma come… diesel?
Eh, mbè?!
Ecco: http://www.quattroruote.it/news/novita/2016/07/22/alfa_romeo_giulia_debutta_il_2_0_turbo_200_cv_listino_da_40_500_euro.html
Giustamente soltanto con l’automatico…mah…