Ricordo che, io bambino, la dannazione dei miei era la scuola.
Hai fatto i compiti, fai i compiti, studia se non vuoi rimanere bestia, la professoressa ha detto che sei un caso, se non hai finito i compiti non sederti a tavola.
Vista con gli occhi di oggi, la scuola doveva darmi quel minimo di cultura generica per potermi poi specializzare in quello che mi sarebbe piaciuto, quel poco di cultura civica per essere un cittadino e non un Unno; qualche cenno storico per capire chi fossero gli Unni e che il Paese così come lo concepiamo oggi, dandolo per scontato, è il frutto di lotte sanguinose e eroismo degli avi. Cenni scientifici per dire che non discendiamo direttamente dalla scimmia, ma entrambi dallo stesso natante cigliato.
Poi le medie e poi le superiori, dalle quali uscivi (diplomato o meno) comunque e finalmente un qualcosa di distinto dal mondo, per questioni meramente biologiche.
Diverso, per questioni meccaniche così ben raccontate da Crick e Watson, e per attitudine; già a partire dal fatto che gli altri raccontavano da tempo di scopate da film e tu al massimo di indirizzi di memoria e relativi puntatori.
Insomma tu eri tu, almeno in modo embrionale.
Se ti andava bene (ovvero se la risultante dei vettori Soldi-a-casa, Ormoni-e-relativi-pruriti e Sopportazione-dei-tuoi era nella direzione e nel verso dell’università) intraprendevi un cammino infinito, che quindi veniva spesso interrotto indipendentemente dal risultato.
C’era un giorno in cui ti vestivi da prima comunione ma eri più grande, da matrimonio ma eri ancora troppo piccolo, o da cameriere ma eri molto più goffo ed in cui discutevi su uno scritto che sanciva che non eri più un Signore qualunque, ma un Dottor nessuno.
Anni ed anni di studio, di accrescimento strumentale cerebrale, per poi trovare un lavoro “come si deve”, e per poterti collocare nel puzzle della vita in posto “come si deve”, per diventare “un buon partito”.
Tutto questo a cosa ti serve? Tutta questa cultura, tutti i tuoi interessi, tutta la tua bravura combinatoria o permutativa, a cosa ti serve nella vita?
Per parlare del più e del meno.
Sennò sei un cafone, scontroso, che-ti-ci-ho-portato-a-fare, mai-più-conté-giuro, guarda-ma-che-ffigura-ma-che-vergogna.
Parlare del più e del meno prende il 95% della vita sociale; e come potrebbe essere altrimenti?
A meno che tu non viva in ufficio, dove si presume tu sia circondato da gente che ha i tuoi stessi prerequisiti soddisfatti per essere lì, incontri gente che ha fatto percorsi diversi fino a quel momento.
Ne sa tanto quanto te di molto altro, ma l’insieme intersezione è pressoché nullo.
Ti hanno detto che si chiama ipocrisia fino al momento in cui non di metterla in pratica si chiama cafonaggine
Ne segue che delle due l’una:
- parlare di un cazzo come se fossimo noi per primi ad essere davvero interessati a quello che diciamo e tirare per le lunghe quel poco che di comune c’è tra te e l’interlocutore, oppure
- dare fondo a tutte le tue conoscenze da Settimana Enigmistica e proporre soluzioni scientificamente inverosimili a tutto.
La prima soluzione è quella dei conversatori instancabili, che non solo riescono a parlare ore senza mai dare la sensazione di avere davanti dei coglioni né di sentirsi loro stessi dei coglioni e far salire l’entropia dell’Universo senza aggiungervi null’altro che fiato e suoni. Riescono a fare dei calcoli matematici assolutamente incredibili, se non fossero sbagliati, e sono la versione moderna del fenomeno che gira per i paesi.
C’è un dato da tenere a mente sempre: se è vero che l’insieme intersezione tra le vostre conoscenze e quelle di un interlocutore qualunque (ed abbiamo detto conoscenze e non interessi, si badi bene) tende all’insieme vuoto, all’aumentare del numero di interlocutori il poco che c’è nell’insieme va a zero con una rapidità esponenziale.
Bene, il vero conversatore di prima specie è quello che riesce a parlare sempre gradevolmente di un cazzo indipendentemente dal numero di interlocutori.
Non può esimerti dal diventarlo di tanto in tanto. Puoi esimerti dal trovarti nelle situazioni in cui dovrai farlo.
Dopo le prime volte, non ti chiameranno più; devi solo tenere duro.
La seconda possibilità è quella di colui che ti spiega. Tutto.
– Posso prendere una sedia?
Ma certo, anzi te la prendo io perché, vedi, io conosco questa sedia.
Questa sedia in policarbonato da esterno, è colorata non a caso, perché il policarbonato sarebbe trasparente, ma polimerizza e diviene fragile ai raggi UV, che poi sono una componente maggioritaria dei raggi solari, la cui presenza in esterni non è mai prescindibile; dicevo, sono colorate appunto poiché quello che noi consideriamo un colorante per fini estetici, è in realtà un enzima aggiunto in virtù dei benefizi che porta.
Beh, sai cosa?
Le nostre sedie, vedi, sono state scelte verdi, non a caso.
Anzi: tutti, è ormai un dato acquisito, suppongono che i mobili da giardino debbano essere tassativamente bianchi. Non si sa chi l’abbia deciso, ma tant’è.
Come conseguenza, i mobili, anche quelli qualitativamente superiori, ma di un colore che non sia il bianco vengono frequentemente svenduti.
Consentimi una digressione; ma il fatto fondamentale è che noi oggi manchiamo, le nuove generazioni intendo, di una cultura della qualità.
E che! Quelli della nostra generazione non sanno distinguere una sediaccia in plastica da una robusta sedia termoformata capace di resistere anni alle intermperie?
Ma certo, che sì!
Ma i giovani vogliono certezze, altro che.
Vuoi che aspettino ad arredare il giardino di casa fino al momento in cui saprebbero farlo con cognizione di causa?
Macché (ha la faccia schifata, l’incarnato tende al viola), questi si sposano e devo entrare a casa che è già tutto fatto, tutto a posto.
Ora, a parte il fatto che una volta si pagava per contanti, e quindi se non avevi i soldi, aspettavi di averli per comprare una cosa…
E siccome aspettavi, poi pretendevi cose che ti durassero una vita. Ma oggi “finanzi”, “rateizzi”, use le carte “revolving”, c’hanno le carte “revolving”, ma che cazzo vorrà dire! E vuoi tutto subito.
È un tu impersonale, capirai…
Ed allora non hai il tempo per acquisire un minimo di sapere su quello che vai a comprare. Dovresti sapere tutto e tutto assieme.
Impossibile, diamine!
Perché sai, le cose oggi sono definite non già da una caratteristica dominante; metti… come negli anni ’70: o massello o truciolato.
Sono piuttosto marginalmente caratterizzate da un insieme di parametri, e bisogna sapere se e come questo set divenga significativo nel suo complesso, non solo quali siano i valori normali dei singoli indicatori.
Un po’ come le analisi.
Anzi proprio come le analisi, che oggi i medici non sanno più leggere. Per dire, no?!
Fanno come faresti te: leggono la colonnina dei valori normali e si limitano a dirti quello che sapevi già: che uno è un po’ altino, ed una un po’ bassina, almeno per un maschio adulto.
E la familiarità?
Eh, caro il mio dottore… quella non la trovi sul foglietto eh!
A casa mia abbiamo un tasso colesterolemico da cavallo da almeno tre generazioni (e dobbiamo supporre solo che prima non ci fossero riscontri analitici).
E lui ti dice, mi fa, che “abbiamo il colesterolo altino”…
Ma perpiacére! Ma altino cosa?! Mio nonno a novantanni ancora parlava tre lingue e faceva il filet (e s’incazzava se gli dicevi che sembrava un po’ femminile come occupazione) e mangiava come un bue!
Mavvìa…
Basta. Insomma, i giovani, dicono: Ah, vanno i coordinati da giardino bianchi?
Tutto bianco.
Begli stronzi, scusèz le francesisme!
Primo perché il bianco ingiallisce, e poco male è solo un fattore estetico.
Ma poi e soprattutto, perché l’additivo bianco è fatto per non durare.
Additivare in verde il policarbonato, non solo conferisce una elasticità duratura al termoformato, ma ne blocca in maniera quasi definitiva la reticolazione, e già da solo garantisce a questi arredi una longevità maggiore.
Inoltre si possono anche lavorare con a precisione millimetrica, motivo per cui s’impilano assai meglio, come vedi.
Ma bisogna saperli prendere, perché stanotte ha piovuto e la precisione degli incastri, in presenza di umidità è come un collante… non vorrei che ti slogassi un polso.
* * *
Io mi sono già slogato i coglioni da tempo, l’ho lasciato a parlare da solo e ho puntato un balconcino defilato, dove fumare in santa pace, senza nessuno che mi dica che il fumo fa male (quelli meglio) o che il tasso di nicotina del sigaro è cento volte minore del fumo di sigaretta.
E che lui non fuma, ma dovendo proprio fumare, fumerebbe sigari anche lui, altro che la sigaretta che è da isterico.
E che certo! Il sigaro macchia la bocca, ma poi come ogni cosa è una questione di misura…
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