Non è un paese per lavoratori

Ricordo quando, ventenne, andai a parlare con quella che sarebbe stata la mia docente di Analisi II ad Ingegneria Elettronica (all’epoca informatica non c’era) per dirle che, poiché lavoravo non avrei potuto frequentare assiduamente. Allora la frequenza era un requisito piuttosto cogente per poter sostenere un esame, appena meno dell’acquistare libri inutili che il docente si peritava di siglare ad inizio corso, datando il momento dell’autografo in modo da renderli invendibili come usato.
Ricordo che la luminare disse che “se lavora è un problema suo, qui si viene e si viene per studiare”.

Col tempo, in effetti, hanno cancellato del tutto la figura dello studente lavoratore, ed hanno ridotto le ore di permesso per motivi di studio ad otto giorni l’anno.
Ore, giorni.
Non è problema metrologico, non è un cavillo in termini di unità di misura: puoi prenderle solo a giornate intere, non ad ore, e devono essere giustificate per iscritto previa domanda e dietro rendicontazione con adeguato giustificativo.

Poi per farla completa, hanno anche posto un limite massimo alla durata degli studi.
Quindi uno che lavora (cazzi suoi, poteva benissimo restare a vita da mamma e papà, ad averceli, e condividere con loro lo stato di indigenza) se lavora davvero e di tempo per studiare gliene resta poco, si fottesse: ad un certo punto arriva uno che ti dice che ci metti troppo.

A questo punto, per tentare di porre rimedio a tutte queste storture, l’unica era tentare di ridurre i lavoratori resistenti con operazioni a tappeto, cominciando a demolire lo Statuto dei lavoratori.

* * *

Ma i lavoratori non hanno solo questo problema, che pure ho rappresentato in tutte le sedi istituzionali.
Il lavoratori hanno anche il problema che tutto quanto gravita loro attorno non funziona per il semplice fatto di essere lavoratori.

Quante volte vi è capitato di aver trovato l’avviso del corriere che è passato mentre eravate al lavoro?
E poi che succede?
Succede che ripassa mentre eravate al lavoro (ma che cazzo, ma sempre al lavoro?! e staici un po’ a casa, no?) e vi lascia il secondo bigliettino.
E che cambia?
Cambia che nel secondo bigliettino c’è scritto che loro sono passati ma non passano più; adesso te lo vai a prendere tu il pacco.
E siccome il corriere ci ha i cammi e li ricovera in grandi spazi, il corriere sta fuori città.
Sicché tu devi prendere permesso in ufficio (e dai! c’hai sempre un pensiero…) per andare a prendere un pacco presso colui il quale avrebbe precipua ragione di esistere nel portarteli.
Il sabato e la domenica il corriere non lavora; manco tu, forse. Sicché non puoi nemmeno andartelo a prendere (ripeto: vai tu a prendere una cosa che dovrebbero portarti) di sabato e domenica.
Se invece stai a casa, e non hai soldi per comprarti un cazzo, allora puoi aspettare il corriere.
Però non lo aspetti, perché non compri nulla.
Quindi il lavoratore oltre ad essere un dispettoso privilegiato, non è quello che guadagna dei soldi da spendere per far lavorare gli altri, è uno che si diverte a far loro perdere del tempo.

Telefono isolato.
Chiami il 187 di domenica, e dici che il telefono è isolato.
Al primo punto della checklist dell’addetto, c’è:

– fare la battuta: ma allora da dove mi chiama se il telefono non va? Ahr, ahr.

Mandato a fare in culo l’addetto che l’ha detto, con astio, con la cattiveria di quello che paga per una cosa che non ha, e che per pagarla deve pure andare a lavorare solo per acredine coi corrieri, gli dici che sei sul cellulare.
Ah, bene, stacchi tutti i telefoni che devo fare una prova da remoto.
Beh, sì, vedo dei problemi, le apro al segnalazione.
Aperta la segnalazione (ah, UNA segnalazione, quella dell’ADSL che non va semmai dopo che hanno risolto questa), comincia il cinema.
Martedì alle 11:35, ti chiama sul cellulare un Numero Sconosciuto che ti dice che è il tecnico di Telecom che sta davanti alla porta ma in casa non c’è nessuno.
Ennò, non c’è nessuno, stamo a lavora’.
Abbeh, ma io ccosì ‘n posso fa’ gnente.
Eggià.
Poi siccome è gentile ti chiede quando ci siete.
Domani mattina, posso prendere un permesso in ufficio (lo sapevi, eh?!) e restare a casa nell’attesa della vostra venuta.
Nnno, no, domani no, che stamo artrove.
Va bene, allora dopodomani?
Ecco, sì, dopodomani.

Solo che l’indomani, il giorno prima di dopodomani, ti chiama una voce registrata del 187 per dirti che da controlli effettuati in centrale, hanno chiuso il guasto come risolto.

Richiami il 187, facendo presente che risolto no, perché il telefono è muto.
Ti dice: possiamo aprire una segnalazione.
Ennò, cazzo, non è una nuova segnalazione da aprire (sapete quelle statistiche che trovate in bolletta? Tempo medio di risoluzione dei guasti, Difettosità media, ecc.) è la stessa segnalazione di domenica scorsa, non avere risolto un Sirio di niente.
Si risente. Lei, non il telefono, intendo.
Se il tecnico mi ha chiuso la pratica non posso riaprirla.
Posso farne una nuova e basta.
OK, telefottiti tu e Telecom, apriamone un’altra.

Adesso in pausa pranzo, in ufficio (yeah!) mi squilla il cellulare.
È il tecnico Telecom che dice che è il tecninco di Telecom che sta davanti alla porta ma in casa non c’è nessuno.

* * *

E ancora ci vengono a scortecciare la fodera dell’ucello col fatto che l’Italia è un paese poco digitalizzato.
Ancora ci scalpellano i coglioni col fatto che la fibra creerebbe posti di lavoro ed il digitale crea indotto.

Ecco, no: il problema di questo paesone è che lavoriamo.

* * *

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  2. eDue – Il cavo orale
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  5. eDue – Appunti per una riforma del lavoro

Autore: eDue

Bieco illuminista

2 pensieri riguardo “Non è un paese per lavoratori”

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