Da un po’, ed ancora per un po’, si parlerà di “intelligenza artificiale”, che non esiste.
Quello che viene venduto come tale, anche da chi non ce l’ha come Apple, è un motore che genera qualcosa (testo, immagini, suoni, ecc.) in base alla probabilità che quello che precede sia seguito da qualcosa sul materiale che è stato utilizzato (spesso rubandolo) per creare il modello.
Tutto quanto precede non è magia e non è innovativo in senso stretto, ma deriva dagli studi sul Data Warehousing con la condizione di non essere limitati ai dati in possesso ma poterne rubare a piacimento.
Siccome non c’è davvero nulla di particolare se non la potenza di calcolo richiesta in tutto quanto precede, aspettando che questo tipo di approccio ai dati divenga invisibile (e quindi utile), come è sempre accaduto in passato (ad esempio con gli algoritmi di ordinamento, che sono tanti e vengono scelti dinamicamente in base ai dati su cui chiediamo di applicarli, senza chiedere), si potrebbe almeno esplicitarne l’uso in contesti quotidiani. Rendendolo utile e simpatico.
* * *
I cognitivisti mi perdoneranno la semplificazione, ma una delle capacità del nostro cervello è quella di limitare la quantità di segnali in ingresso che vengono degnati di attenzione; non tutti gli stimoli vengono elaborati, molti nemmeno notati. Quasi tutti vengono semplicemente ignorati.
Uno dei casi più frequenti nell’uso delle interfacce (fisiche o immateriali che siano) è quello delle cecità selettiva, quella per cui il navigatore della nostra vettura, quel bancomat a centro plancia che abbiamo pagato migliaia di euro, ci parla.
Ci parla, perché chi lo ha progettato sa che alla guida dovremmo guidare, il che implica il guardare la strada davanti a sé e non il cruscotto. Nei confronti di quell’oggetto stiamo applicando un filtro, per cui non lo guardiamo ma lo sentiamo solamente indicarci le prossime cose da fare per arrivare dove abbiamo chiesto di essere guidati. Anche se per poter avere la patente è necessario essere vedenti con un buon grado funzionale, quell’ausilio alla guida è costruito e funziona presupponendo che siamo ciechi, almeno nei suoi confronti.
* * *
Tu mi profili, mi metti i cookie, mi fai domande indiscrete al limite del penale, mi mostri la mia cronologia recente, e per recente intendi dall’età della lallazione ad oggi. Vuoi che mi logghi per potermi profilare mentre mi muovo, incrociando tutti i dati che hai di me attraverso i numerosi servizi gratuiti che mi offri, e per potermi dire che a due isolati c’è un negozio di “Adventure. Astrology. And more.”.
Posto che di “Adventure. Astrology. And more.” non me ne frega un cazzo ma, chiedo, se invece di buttare i soldi al cesso, inquinare coi datacenter per elaborare e mandare messaggi a schermo con proposte come questa, cercassi di fare qualcosa di utile per il pianeta?
Tipo?!
Tra le cose che vuoi sapere è dove abito e dove lavoro. Capisci che abito lì e lavoro là perché gli attribuisci correttamente anche un’iconcina, una casetta nel primo caso e una valigetta ventiquattr’ore nel secondo. Certo, in questo modo mostri che chi ha progettato l’interfaccia ha sessant’anni, tanto anagrafici che come target primario, ma OK, è chiaro che hai compreso la semantica del dato.
È tanto vero che hai capito che quando sono a casa e metto in moto, tu mi chiedi subito se sto andando in ufficio; parimenti se sono a lavoro e metto in moto tu mi proponi di guidare verso casa. Con questo sai anche dove sono. Non ti ho detto che ho le emorroidi da qualche giorno, strano che tu non me l’abbia chiesto; mi pare strano ogni volta che passo davanti ad una farmacia e tu mi dici che a due isolati c’è un negozio di “Adventure. Astrology. And more.”. A te pare incredibile, ma io per non avere consigli così idioti preferirei dirti di più; probabilmente tu saresti perfino felice di sapere delle mie emorroidi, però probabilmente le normative europee ti limitano al punto che per te è meglio tenermi i coglioni sull’incudine e scolpirli a forgiare un pop-up ogni tanto per ricordarmi che a due isolati c’è un negozio di “Adventure. Astrology. And more.”.
Però alcune cose le sai. Usale.
Sai dove abito e dove lavoro. Lasciamo stare il sabato mattina che vado a fare spesa; ma cazzo la domenica mattina, perché mi chiedi se sto andando a lavoro? OK, potrei fare i turni al Pronto Soccorso, va bene, ma chiedimelo la prima domenica dopo che ti ho installato, chiedimelo la seconda che magari quella precedente potrei essere stato in ferie. Ma tutte le sante domeniche? E ancora non hai capito che il sabato vado sempre a fare spesa allo stesso supermercato? E che dopo aver fatto spesa non vado a lavoro, l’hai capito dopo cinque anni?
Che cinque giorni a settimana vado a lavoro, che lavoro sempre nello stesso posto e non ho un furgone con cui faccio i mercati rionali, e che non lavoro al Pronto Soccorso l’hai capito? Che mi fai fare sempre due strade, tu, mai una terza diversa anche se c’è un traffico anomalo, tanto anomalo che mi consigli di non uscire adesso perché sulla solita strada c’è del traffico anomalo, lo sai? E tanto solita dev’essere per te la strada, che sai quanto traffico c’è in media e quando è anomalo.
Sono un criceto, faccio sempre gli stessi orari e faccio sempre le stesse cose in quegli orari, e tu lo sai.
Possibile che tutti i giorni tu mi dica di prendere la seconda uscita alla stessa rotonda, che sta sulla stessa strada, del mio cazzo di itinerario quotidiano, che faccio due volte al giorno, perché tu mi fai fare sempre quello? E possibile che dopo cento metri abbiano fatto una nuova rotonda tre anni fa e che tu mi dica di prendere anche lì la prima uscita ogni volta che ci passo?
Ma lo so pure io, che sto andando a lavoro, cazzo. Lo so che a quella rotonda e quella cento metri dopo devo prendere rispettivamente la seconda e la prima uscita, se voglio andare verso il lavoro. E lo so senza bisogno di elaborarlo ogni volta, perché quel tragitto è quasi tutta memoria muscolare ed elaborazione inconscia, come la ventilazione e il battito cardiaco.
E possibile che tutti i giorni, due volte al giorno, tu mi dica che quello a seicentosettantacinque metri da casa mia è un incrocio pericoloso? Possibile che all’incrocio della strada sulla quale lavoro, che è senso unico, tu mi dica tutti i giorni di girare destra, implicitamente sconsigliandomi di girare dalla parte opposta e prendere un muro andando inoltre contro mano?
Ora, non c’è solo il problema che tu usi quello che sai di me solo per profilarmi e non mi dai nulla in cambio, c’è il problema che tu mi rompi i coglioni.
Si dia il caso, infatti, che io usi il tragitto casa – ufficio e viceversa per ascoltare di contenuti che altrimenti non avrei tempo di ascoltare; si dia quindi il caso che la tua applicazione e le altre competano per la mia attenzione che, lo ricordo, dovrebbe principalmente essere rivolta alla guida. E tu interrompi di continuo la riproduzione delle altre app (anzi, magari, tu non interrompi ma ti sovrapponi) per dirmi cazzate che so, che sappiamo tutti e due perché sono le stesse che mi ripeti tutti i giorni due volte al giorno da anni. Ne segue che mi costringi a prestare attenzione alle tue cazzate per il semplice fatto che interrompi qualcos’altro che ne ha già poca, per dirmi cose che non mi sono utili.
Ora, se tu che dici di usare l’intelligenza artificiale la usassi davvero e per quello per cui è nata, la mattina, quando metto in moto la macchina, dovresti dirmi «andiamo verso il lavoro, facciamo il solito itinerario, ti avverto solo se è meglio cambiarlo o se ci sono emergenze, dovremmo arrivare alle 11». E poi tacere.
Perché la verità è che tu mi rompi il cazzo e basta; con gli annunci di cose che non esistono (come l’AI stessa, d’altronde), col pensiero magico, con gli avvisi inutili, reclamando la mia attenzione per cose che già so, facendomi incazzare perché interrompi altre cose, facendomi guidare male perché sono incazzato con te e con l’intiero team di ingegneri.
Che hanno accettato il lavoro di merda che gli hai offerto perché possono lavorare da casa, risparmiandosi almeno di utilizzare i prodotti malfatti che proponi.
E si vede.