Quando il dito indica la microcar…

Siamo alle solite.

È morta una quindicenne in una microcar, le microcar sono mortali?!
Quanta gente muore in macchina ogni giorno? Le macchine sono mortali?

Le microcar non sono mortali, sono in mano a gente che non sa ontologicamente nulla di tecnica di guida e codice della strada.
Cazzo.

Perché dovremmo insegnare ai nostri figli a non scopare senza preservativo – per non morire o non uccidere – e poi dovremmo mandarli in giro senza dir loro nulla di quel coso a quattro zampe detto micorcar e di quel rotolo di carta igienica detto CdS rischiando così la loro e la altrui vita?!

Il dibattito non può essere sul mezzo, ma sulle persone.

Delle due l’una: o patentarli normalmente imponendo che fino alla maggiore età non possano guidare altro che microcar, oppure patentarli normalmente, a diciotto anni.

Non guardate il dito.

Adesso piantala

La terra non è sferica, ma è comunque una superficie chiusa.
Grande quanto si vuole, ma chiusa.
Scappare, ma anche solo spostarsi, ha un senso se tu scappi, o ti sposti, e gli altri stanno fermi.
Ma anche così, a forza di muoverti, lento quanto vuoi, prima o poi torni dov’eri all’origine; il vettore spostamento ha modulo nullo.

A scuola, pubblica, ci hanno fatto studiare (all’epoca accadeva) che i nostri antenati, nomadi, erano pochi e sarebbero rimasti pochi perché la condizione per cui il loro stile di vita fosse sostenibile era che fossero una piccola quantità di persone.
Erano più “naturali” di noi, ma erano pochi e vivevano camminando.
E facevano una vitaccia, sopratutto dal punto di vista logistico.
Fossimo tutti nomadi, chi farebbe le strade per muoversi? Chi farebbe l’infermiera professionale o il chirurgo? Chi farebbe il barista? E il ristoratore?
Nessuno, saremmo tutti dediti alla pastorizia, ci sposteremmo stagionalmente in cerca di campi da pascolo, ci ammazzeremmo a coltellate o a colpi di pietra (chi avrebbe perso tempo a sciogliere i metalli sul fuoco?!) per rubarci le pecore.

Ci sarebbe un fatto apparentemente positivo.
Invece di stare a guardare la TV, che non avremmo inventato, la sera scoperemmo come ricci.
Certo, meglio che guardare la TV; ma a forza di scopare come ricci, non c’entreremmo più, perché ognuno di noi invece di avere bisogno di un appartamentino di 45mq in periferia, avrebbe bisogno di ettari di prato da pascolo.
Sarebbe tutto una copula ed una lapidazione.

Poi abbiamo inventato l’agricoltura.

I nomadi, oggi, sono sempre pochi ma non sono pastori, quasi più nessuno.
Girano in furgoni, vivono nelle periferie (o nei parcheggi del centro dove vengo attirati e poi cacciati sotto elezioni) e credo lavorino duramente impegnati in mestieri che noi non vogliamo fare più.
Ma per arrivare hanno percorso strade che non hanno costruito e non hanno contribuito a costruire con le tasse, guidano furgoni che non hanno contribuito a progettare e li stipano di vestiti tradizionali dai colori (spesso bellisimi) che le stronze nostrane in X5 sfoggiano in riviera.
Porsi fuori dal sistema, suppone che il sistema esista; andarci contro è come andarci insieme, ne suppone l’esistenza.

Il sistema schiavizza?
Bah, forse. Ma starne fuori o schiavizza peggio, o è pura finzione.

Possiamo decidere di fare downshifting.
Vi parla uno che l’ha fatto.
Decidere di avere in tasca trecento euro al mese al netto di tutto, ma con una qualità della vita molto maggiore.

Prima guadagnavo 4.400,00 euro/mese per 22 giorni lavorativi 09:00 – 17:00 e spendevo 4.100,00 euro al mese in minchiate.
Minchiate di pregio, s’intende, ma minchiate.
E tasse.

Lavoravo molto? No. O forse sì, ma non facevo nulla.
Sopratutto lavoravo per chi mi pagava? No.
Circa l’80% del mio tempo era autopromozione, perché allo scadere del contratto corrente avrei dovuto probabilmente cambiare indirizzo di lavoro e forse persino città. Del resto per fare l’upshifting (o come cazzo si dirà) ero dovuto andare a Milano.
Quindi una volta conseguito il risultato, ovvero firmare il contratto di consulenza con quello di turno cui non servivo affatto, dovevo darmi da fare per il prossimo, avendo come tempo massimo la durata di quello in vigore.
Perché questa scadenza cogente?
Perché nessuno vuole uno che non lavora già, sembri un fallito o un reietto.
Devi per forza andare a parlare con il tuo nuovo datore mentre sei col vecchio.
Non puoi togliergli il gusto di fottere la concorrenza, privandola di un pilastro. Di cosa chissà, ma non è importante.

Non è importante nemmeno per quelli che fanno selezione dei consulenti in questi ambienti, e che sono dei dipendenti che guadagnano più dei consulenti. Come fanno? Prendono una percentuale sui contratti che fanno stipulare, e lo fanno alla luce del sole essendo parte del loro incentivo. Incredibile?
Avendo firmato contratti per incarichi inutili ed avendo fatto finta di lavorare in alcuni casi, sì direi che è incredibile.

* * *

Non ho scritto un libro per raccontarlo.
Anche perché tutto quanto c’era da dire l’ho scritto qui sopra; riempirci un libro sarebbe tosto.
Lo sarebbe per chiunque, lo è anche per Simone PEROTTI, l’autore del libro “Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita. Filosofia e strategia di chi ce l’ha fatta” (ISBN 9788861900851), che pure nella sua prima vita faceva lobbying e comunicazione.

E si vede, perché a parte ripetere all’infinito che tutti ce la possiamo fare, che tutti abbiamo virtù nascoste, che tra il dire ed il fare c’è di mezzo il volere, che i sogni aiutano a vivere e la vita è un sogno, quando poi si va al dunque, si scopre che tutti possono permettersi di comprare il libro, ma quanti sono quelli che possono seguirne i consigli?
È bene che siano davvero pochi.
Perché?

Beh, perché intanto i tre esempi concreti sono di uno che guadagna 34.000 euro e rotti netti l’anno, ed abbia metà delle sue necessità pagate dall’azienda; il secondo è di uno che, ceteris paribus, ne guadagna 56.000.
Il terzo è quello di uno che compra due mele a 1 euro, ne mangia una e rivende la seconda a un euro, con il quale compra due mele belle ed una brutta ma buona. Mangia quella brutta e rivende ad un euro l’una le altre due. Poi viene a sapere che è morto uno zio e che è beneficiario unico del suo patrimonio.

Quindi, ragazzi, cattive notizie: se guadagnate 750 euro/mese, fate il secondo lavoro per arrivare a 1000, vi restano quattro ore per il resto compreso il sonno e l’ultima vacanza è stata nel 1977 in colonia a Riccione, beh, il downshifting non è per voi.

Poi perché per fare downshifting ed andare a vivere in una casa con qualche ettaro di bosco attorno, ma vicino al mare, quello che avete nel porcellino non basta. Se avete il problema della quarta settimana, poi andate a chiedere in banca quale insulto fresco di conio abbiano per voi.

Infine perché per dedicarvi alla vostra passione che è navigare (ma potrebbero essere i rally o le ceramiche raku o i voli spaziali), vi serve gente che ha bisogno di uno skipper stagionale.
Quindi di gente che non ha fatto downshifting, ma che anzi è impaccata di soldi, ha preso la barca più lunga come simbolo fallico, ma non saprebbe portarla fuori dal porto e magari soffre pure il mal di mare e odia la puzza di pesce.

Siccome sono questi che potrebbero davvero fare downshifting, è bene che non lo facciano per permettere a qualcuno di farlo alle loro spalle.

Non solo, ma siccome il downshifting è una pratica che riporta l’uomo alla sua condizione naturale, servono:
– un SUV 3000, parco nei consumi e facile da posteggiare nella brughiera antistante il proprio bosco;
– un computer bello potente chissà perché, che comunque va a corrente;
– un’ADSL per tenere il blog per raccontare com’è bello il downshifting, per linkare il proprio canale TouTube con le interviste televisive ricevute in occasione dell’uscita del libro e sopratutto per mandare all’editore le bozze del seguito.

E qui il cerchio si chiude.
Intanto perché vendere il libro è condizione di base per il downshifting, ma sopratutto perché per far funzionare la tua ADSL di downshifter, c’è un esternalizzato che non arriva a 900 euro al mese che gira in Panda rossa.
Per la posta c’è uno che gira in motorino e che se facesse downshifting girerebbe in bicicletta e consegnerebbe una volta al mese.
In questo paese ancora per un po’ la sanità è pubblica e estesa a tutti e gli ospedali sono pieni di persone che invece di fare downshifting fanno turni pazzeschi e si comprano gli zoccoli (obbligatori) con i loro soldi. E ti dovesse cadere in testa un ramo del tuo bosco sarebbero pronti a venirti a prendere in ambulanza e curarti a spese della collettività senza chiederti nemmeno il nome.
E prega che non ti venga una carie.
E se ti si rompe il SUV, che è di seconda mano, spera di trovare un meccanico appagato dalla sua vita, perché se si stesse preparando per il downshifting ti fodererebbe le chiappe con lo stesso tessuto di quello dei babbuini.
E visto che i SUV possono andare ovunque vi sia asfalto, spera che continuino a tapparlo almeno fino al porto.

Il tutto supponendo che i tuoi non abbiano mai bisogno di te, restino autosufficienti fino alla morte, possibilmente improvvisa e nel sonno; o che se la procurino con l’ultimo afflato di vitalità per non pesarti sulle spalle.
Supponendo di non essere costretti a lavorare per la badante che pure sarebbe una tua dipendente, senza la quale non potresti fare altro che dedicarti a tempo pieno alla persona per la quale accedi ai benefìci della Legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Supponendo che non ti vengano figli, perché potresti pure lasciarli aggrappare ai rami del bosco fino all’età scolare, ma poi dovresti portarli e riprenderli da scuola, cosa che si concilia male con il fare lo skipper.
E sperando che la madre non ti mandi affanculo e te li lasci, perché sai cosa? mangiano tre volte al giorno e non gli basta alternare il secco con l’umido.
Sperando che non privatizzino l’acqua nel tuo comune perché sennò la pagheresti più di quella minerale.

Sperando cioè che tu sia l’unico a muoverti in questo mondo che fa guerra di posizione e sta in trincea tutti i giorni, perché tutta l’infrastruttura della tua liberazione la fanno gli altri; e sperando anche che il downshifting lo facciano in pochi, e nessun grafomane, perché altrimenti anche la concorrenza in libreria si farebbe serrata.

O narici di ciranO

Nel libro di Mario LIVIO del 2005 (L’equazione impossibile. Come un genio della matematica ha scoperto il linguaggio della simmetria) si cerca di dare una spiegazione del fatto che pare che l’universo prediliga la simmetria.

Sembra che la riproduzione prediliga la simmetria come forma di ridondanza e di attrattiva
Ecco perché due pallucce e due ovaie.
Ecco perché un soggetto asimmetrico non attira: potrebbe essere malato, ma sopratutto potrebbe essere fallato geneticamente e questo non è bene per la specie. Può sembrare cinico, ma la natura è cinica e amorale.

Infatti noi umani abbiamo opposto la morale alla naturalezza, ma la natura non lo sa, e continua a programmare il firmware dei viventi in maniera da prediligere alcune forme.

Pare anche che la simmetria permetta ad alcune specie di cavarsela meglio in condizioni di emergenza, perché le aiuta a distinguere istintivamente i falsi positivi dalle reali situazioni di pericolo.

Sembra infine che la riconoscibilità di alcune forme si debba alla simmetria.

Come spesso accade in casi come questo, si scomodano psicologi cognitivisti, biologi evolutivi e tanta tanta matematica.
Ognuno dal suo punto di vista, offre un’interpretazione convincente del perché pare che tutto sia simmetrico in condizioni naturali.
Il problema è che se tutte le spiegazioni sono convincenti e almeno due tra queste sono incompatibili, la logica matematica insegna che nessuna è verosimile.

Siccome io per mestiere mi occupo di informatica, una spiegazione ce l’ho.
Non convincerà nessuno a parte il sottoscritto, e non ha fondamento scientifico; eccovela.

Dicevo che sembra che la riconoscibilità dei alcune forme si debba alla simmetria.
Riconoscere significa ri-conoscere, ovvero presuppone che prima uno conosca.

Conoscere è memorizzare + ritrovare in memoria; solo memorizzare è sgabuzzino.
Memoria, dunque, più logica di ricerca.

La memoria ha un limite; ammettendo che tutti i componenti di una massa possano memorizzare informazione, la possibilità di memorizzare ha un limite fisico.
Ma la capacità reale di memorizzazione è molto inferiore al limite fisico, perché il supporto va intanto creato con parte della massa che ne diviene struttura e poi formattato in modo che vi si possa accedere in ricerca utile senza effetto sgabuzzino. E sto tralasciando la memoria a breve termine, che è la RAM di noi animali, che va scalata dal totale. Infine il programma che serve a fare ricerca va scritto in memoria, e ne occupa una parte.

Il cervello non fa eccezione, ed ha una capacità di memorizzazione che compete con il firmware che serve a fare ricerche.
O intelligentissimi, ma a cercare sul nulla o tronisti con una memoria enorme, ma vai a sepere a cosa serve; nel mezzo sta la realtà, ovvero parte del cervello fa logica e parte fa memoria.

Vi siete rotti i coglioni di leggere?
Quasi finito, su…

Bene, se invece di memorizzare un volto, ne memorizziamo metà e aggiungiamo un tag come ribaltare orizzontalmente, abbiamo la stessa informazione in metà spazio. Quindi possiamo metterci il doppio del contenuto o quasi (il quasi è per lo spazio occupato dai tag).

Vale anche per l’asimmetria temporanea e moderata.
Un volto = metà + ribaltamento orizzontale + occhio destro chiuso (perché ammicca).

Ancora.
Cirano: un volto + naso mooolto lungo.

Il volto è il solito, e l’eccezione sono pochi byte in più.
Ecco perché la natura, per uno che sta in miniera e cava codice e documenti di analisi come me, privilegia la simmetria; perché si può esprimere con la metà dell’informazione e un po’ di note.
Quasi raddoppia la capacità di memorizzazione.

Finito.

P.S.: leggete il libro, che merita.

Il titolo deriva da questo palindromo.

iDiti non cambiano dopo un keynote

Se ci siete entrambi, dovreste sapere che ho l’abitudine di convertire i miei commenti ai post altrui in post. E questo è un caso di quelli.
In questa occasione commento un post piuttosto ben fatto, parzialmente condivisibile, ma con un solo errore palese.

L’errore è il seguente: perché tutto quel bordo nero brutto e poco Apple, e brutto, e poco Apple intorno allo schermo del neonato iPad?

Potrei essere d’accordo su tutto quanto c’è scritto, ma non su una cosa che invece è molto, moltissimo Apple.

Quando una nota casa editrice decise di vendere i romanzetti rosa tradotti dall’inglese fece, prima volta in Italia, uno studio di mercato. Il target era corretto, il prezzo era corretto, il formato era corretto, i materiali erano corretti, in contenuti pruriginosi al miele corretti.
Un anno dopo era tragedia. Venduto un cazzesimo del supposto (!) o tanto invenduto per supposta se volete.

Fortunatamente per la storia del design, chiamarono uno che gli fischiano ancora oggi come una locomotiva a vapore, gli fecero vedere il buisiness plan ed un campione del prodotto.

Costui, che sono onorato di aver conosciuto, prese entrambi e cominciò ad andare in giro per l’Italia seguendo gli utenti di riferimento e tornò in sede con la soluzione, ma rinegoziando il contratto in questo modo: non un saldo a consulenza conclusa, ma un tot a copia; capite che sono certezze, saluti e baci contro probabilità e imprevisti.
Accettarono, forse ridendo un po’ sotto i baffi.

Il problema era il seguente: gli utenti elettivi lo leggevano durante il tragitto tra casa e lavoro e ritorno; in genere sui mezzi pubblici, in genere strapieni di omologhi. Quindi in piedi, reggendosi agli appositi sostegni.

Con una mano si reggevano agli appositi sostegni e con l’altra reggevano il romanzetto, mettendo le quattro dita dietro al libro ed il pollice in opposizione al centro delle legature, in mezzo al libro.

Per risparmiare, il font era piccolo e le pagine fitte; il pollice copriva parte delle ultime quattro/cinque righe ed il prodotto andava sulle palle all’utente cui era destinato che per leggerle doveva fare contorsionismi o spostare il pollice a destra e sinistra rischiando la chiusura del libro e quindi l’impossibilità di leggerlo o peggio perdere il segno. O vederselo cadere tra i piedi dei colleghi.

La cornice nera dell’iPad è esattamente quello che Apple e non un altro produttore qualunque ci mette, perché se fosse tutto display la gente finirebbe per attivare funzioni involontariamente e renderebbe l’oggetto odioso.

E invece così è usabile e comodo.

R 20101212 0951

I am what I am because of who we all are

Sempre a proposito di Linux e dintorni, leggevo stamattina di un utente che torna a Debian da Ubuntu.

Ricordate che Ubuntu era una Debian, ma una Debian senza nessuno dei vantaggi delle Debian.
Oggi continua a dire di essere una Debian, un po’ come alcuni giornali dicono che in Italia non c’è alcun pericolo per la democrazia.
In realtà Ubuntu dovrebbe avere dei parametri di default conservativi e rivolti all’utente che non sa nemmeno cosa sia un SO.

Quindi l’utente root esiste ma non è attivo a livello di shell e quindi l’utente di default, che è una specie di admin impotente, fa parte dei sudoers e basta.
Volendo abilitare root gli si attribuisce una password come in
sudo passwd root
E da quel momento si può fare su invece di sudo.
Pochi caratteri in più e root ha anche accesso all’interfaccia grafica.

Ora, se questo fosse il problema, non è che non si dovrebbe usare Ubuntu per questo.

Il post che citavo all’inizio parla di libertà, di free as in freedom e non free as in free beer, e alcune cose free as in gnente perché si pagano.
Parla di copyleft e copyright, parla di delusione delle community verso una corporation, che mi pare una cosa abbastanza ridicola.

In realtà il problema vero di Ubuntu è che ad ogni aggiornamento (che è semestrale, malgrado tutto e cascasse una pannocchia…) infilano nella distro una quantità di regressioni e soprattutto una infinità di pacchetti instabili, alcuni nelle prime fasi di beta, solo per poter avanzare la versione/il rilascio e sembrare freschi, in modo da convincere orde di onanisti a sdraiare i server della distro non appena annunciata, infilando ogni volta qualche cavalluccio di Troia come ultimamente UbuntuOne.

Stranamente, se gli onanisti hanno melucce luminescenti e si spellano i ditini a predire il nome del futuro tablet, sembrano bambini deficienti perché Apple vende e non regala; se invece sono ubuntiani e fanno il record di download nella prima mezz’ora son cose belle.

Accadde con Firefox 3.x beta che aveva delle vulnerabilità di sicurezza da paura, accadde con OpenOffice 3.x che era in realtà la prima beta, accade con i driver video (è accaduto anche a questo giro con le NVidia).

In sintesi la distro che si è eletta (alla maniera di Arcore, per acclamazione) come quella destinata all’utilizzatore finale e non ai power users, è quella che periodicamente li espone alle peggiori inchiappettate.

Quando col tempo i buchi vengono chiusi, esce una nuova versione con un nome del cazzo di due parole che cominciano con la stessa lettera, tipo Vera Vulvia o Piso Pisello, Lince Lucida o Minchia Metallica, ecc. e tutto da capo.

A ben vedere è esattamente l’opposto della Debian da cui deriva, che quando è Stable significa che al massimo vedi cambiare il patchLevel, ovvero da 5.0.4.12 a 5.0.4.13.

Comunque sì, Ubuntu va evitata.
Evitatela per un ragione o un preconcetto a piacere, ma evitatela.

E non la deve evitare l’utente scafato che la evita già o evita di usarla per cose serie, ma va evitata proprio da parte dell’utente sprovveduto, che assume rischi senza saperlo.

Per il resto sulla maturità dei sistemi operativi e sull’evitare l’installazione precoce, ho già detto in più occasioni.

P.S.: Il titolo del post è la traduzione ad sensum di Ubuntu in inglese, tratta dal loro sito.

Linux Magalli Edition

Qualche giorno fa dicevamo che in questo paese in cui le tasse non diminuiscono, aumenta il numero dei soggetti che le impongono, in virtù di una legge del 1941 scoperta solo nel 2009.

Ieri l’esecutivo ha detto che non è possibile abbassare le tasse, e oggi le aumenta per decreto.

Le aumenta per compensare gli artisti del mancato guadagno che fanno se io mi faccio una pippa.
Avete capito bene: se io mi faccio una pippa che gliene viene agli artisti italiani? E vi pare giusto che io possa fare dell’intrattenimento senza corrispondere un equo compenso a chi dell’intrattenimento fa una professione? E se tutti gli italiani cominciano a copiarmi? Fra un po saranno tutti talmente presi a farsi le pippe che dimenticheranno di uscire per fare shopping, e quindi non compreranno più CD, DVD, ecc.

Per dissuadere la popolazione dall’emularmi (anche ad uso personale) e dedicarsi all’onanismo, la SIAE verrà ricompensata per ogni pippa che mi faccio, e così per ognuno di noi.

Voi direte: stai scherzando.

Io sì, loro no.

La verità è che Magalli (*) verrà ricompensato non solo per ogni CD di Linux allegato ad una rivista in edicola (che dev’essere bollinato SIAE), ma anche ogni volta che cambieremo hard disk ed ogni volta che compreremo un pendrive USB per una distro live.

Dite la verità, forse la storiella delle pippe era più credibile…

(*) Sia chiaro che il sottoscritto non ha nulla contro Magalli, che qui viene utilizzato a puri fini esemplificativi del paradosso legislativo in argomento.

Grazie, ma fatti i cazzi tuoi.

Se io in un articolo qui su WordPress metto tre a capo, saranno cazzi miei o no?!
E quanti “crediti” devo comprare per poterli mantenere?

Non sono Marinetti, ma ci voglio tre a capo, OK?

E poi si meravigliano se Google fra un po’ ci metterà a tutti una webcam su per il culo e renderà ricercabili le foto navigabili della nostra gastroscopia.

Ecco il concetto di alternativa dello scorso millennio: io ti do un’alternativa a uno che ti sta sulle palle; siccome tu ti rivolgi a me per ripicca verso l’altro, io ti rompo tanto tanto i coglioni. E tu resti con me perché il fastidio verso di me è un po’ minore dell’odio verso l’altro.

Le ideologie sono morte, sarebbe il caso che anche le idee imbecilli iniziassero a non sentirsi troppo bene.

* * *

P.S.: mi piacerebbe poter includere in questa pagina questo video. Vedèvetelo, vevetelo, vévedetelo, guardatevelo da soli: http://www.youtube.com/watch?v=Dt9maknsGJ0

P.P.S.: Qui ci sono i fuori onda http://www.intel.com/en_UK/CannonBells/index.htm

P.P.P.S: Risolto. Ah, c’è il seguito:

R 20110315 1523

Prezzo alla pompa

Una volta questo paese era in mano ai comunisti, oggi solo la magistratura.

Comunismo, quindi il prezzo di tutto era da ricondurre al governo ed allo Stato; anche e sopratutto quello dei beni che in una economia di mercato ed in un paese liberale nessuno si sarebbe sognato di tariffare per decreto.

Cose voluttuarie come l’acqua, il pane (il famoso prezzo imposto della ciriola) e la benzina.

Quando un ministro delle finanze con gli occhiali con una vistosa montatura nera andava in tivvù e digeva (sì, in genere con la g) che la benzina aumentava di 60 lire al litro, gli italiani attaccavano subito a lamentarsi (vicendevolmente) nei bar dicendo che era uno scandalo, che era una vergogna.

Il soviet supremo finiva col cedere alla pressione della piazza ed il prezzo del carburante aumentava “solo” di 30 lire/litro.

Vista con le capacità critiche odierne la situazione pare quasi incredibile: un intero popolo che si faceva prendere per il culo da un’informazione asservita al comunista di turno il quale, ben sapendo che un aumento di 25 lire/litro sarebbe stato necessario e ben sapendo che nessuno avrebbe voluto pagarlo, sfruttava gli spazi che la televisione (di Stato) gli metteva a disposizione per spararla grossa, spaventare tutti e poi fingere di dimezzare in estremis l’imposizione. Ricavandone introito per fini sconosciuti ai più e riconoscimento personale per la flessibilità dimostrata.

Per non parlare del sottobosco che fu di questo comunismo reale, ovvero di imprenditori che professavano il libero mercato e facevano fortune grazie alla politica, che si vedevano innalzare le tariffe per decreto, imporre tasse a loro piacimento, riconoscere il diritto o la delega alla riscossione di tributi e facevano il 99,9 periodico percento di bilancio con le forniture pubbliche.

* * *

Massimo MANTELLINI dice che i giornali italiani stanno diffondendo una notizia non vera, ovvero che alcuni paesi europei starebbero per imporre una tassa sulla rete a compensazione degli utili persi dai detentori del copyright a seguito dell’uso fraudolento (ammesso che ne possa esistere uno diverso) dell’infrastruttura.

Notizia che si palesa non vera se le si rapporta con i fatti, ad esempio chiedendo ai tedeschi se a loro risulti.

Ma nel paese in cui paghiamo una tassa sui supporti vergini come compensazione per l’uso fraudolento cui sono inevitabilmente destinati, tassa poi estesa ai player come l’iPod per gli stessi motivi, e dove devi bollinare i CD con le distribuzioni GNU-Linux in modo da tutelare Mogol dall’uso che facciamo di Gimp, la gente che legge cosa pensa?

Magari, se non verifica, pensa che il giorno che dovessero imporre una tassa sul PC e sui cellulari per due-tre euro a pezzo che vengono motivati con la necessità di tappare il buco dell’evasione del diritto d’autore, ci si stia finalmente adeguando all’Europa.

E che se magari l’imposta finale fosse di un euro e mezzo, questo sia stato frutto dello sdegno con cui una simile proposta è stata accolta dal gruppo creato ad hoc su Facebook.

R 20110326 1128